11/05/2012
Lina Sastri, 58 anni, napoletana, raffinata attrice e cantante.
Ninetta cantava con la sua voce melodiosa
mentre sbrigava le faccende
di casa. Mentre i suoi ricordi svanivano
giorno dopo giorno, la voce che
riempiva la casa fra i vicoli di Napoli la manteneva
tenacemente legata alla vita. Ninetta
era la madre di Lina Sastri, la grande cantante
e attrice napoletana che, dopo la sua morte
per Alzheimer, le ha dedicato un libro, poi diventato
anche un monologo teatrale: La casa
di Ninetta (Marsilio, libro + Dvd).
«Mia madre
ha molto sofferto nel corso della sua vita fino
a essere colpita da questa malattia terribile
che umilia il corpo e la mente, eppure ho visto
fino alla fine una luce nei suoi occhi: credo
che abbia conservato dentro di sé il senso
più profondo delle cose».
Padre Ermes Ronchi, in Sulla soglia della
vita, il volume della Biblioteca universale cristiana di Famiglia
Cristiana ora disponibile, riflette proprio sul significato
della parola “vita” così come emerge dalle
Sacre Scritture. Un testo colmo di speranza,
dove si dice che «Dio non ci tira fuori dalle
tempeste, ma ci dà coraggio dentro le tempeste». Perché alla fine lo sbocco della vita, dopo
tutte le sofferenze, è l’Eterno.
Le capita di parlare ancora con sua madre?
«Certo, quando ho bisogno di sentire ancora
la sua mano sulla mia testa, mi rivolgo a
lei. So che c’è e mi ascolta».
È stata lei la prima a parlarle di Dio?
«No, le suore che mi hanno educata all’asilo
e alle elementari sono state molto più determinanti
di lei nel trasmettermi un senso
religioso della vita, tanto che per un certo periodo
ho pensato di prendere i voti, perché
sentivo dentro di me una sete di Assoluto
che alla fine ho sublimato nell’arte».
Ma ha mantenuto questo senso religioso
della vita?
«Sì. Dopo la morte di mia madre, per un certo periodo mi sono anche riavvicinata ai
sacramenti, perché sentivo il bisogno di ritrovarmi
a pregare in una comunità. Poi mi sono
allontanata di nuovo dalla pratica religiosa,
ma non dalla fede: ormai fa parte di me».
Ermes Ronchi è l'autore del volume allegato a "Famiglia Cristiana". È direttore del Centro culturale della Corsia dei servi di Milano.
Quindici anni fa in un’intervista dichiarava:
«Sembra che oggi tutto sia pervaso da
una generale mancanza di speranza e di fede
». Lo pensa ancora?
«Oggi più che mai siamo immersi in una
sorta di Medioevo dell’anima. I giovani sono
cresciuti con l’idea che l’utile sia più importante
dalla fantasia. Ma forse la misura è colma.
Sono convinta che prima o poi ci ritroveremo.
Non potremo andare avanti ancora a
lungo così».
Qual è la prima cosa che le viene in mente
quanto sente la parola vita?
«Non ho avuto la fortuna di avere dei figli
e in questo momento non ho nemmeno un
uomo accanto a me, ma forse proprio per
questo sono convinta che vita sia amore, condivisione,
godere insieme di piccole cose come
un raggio di sole improvviso o un piatto
che qualcuno ha preparato per te».
Padre Ronchi paragona l’uomo
a un albero capovolto che ha
radici verso l’alto. Condivide questa
immagine?
«Sì, indipendentemente dal fatto
di credere o no, dentro di noi c’è
una sete di spiritualità che ci accompagna
sempre e ci guida nelle scelte che compiamo,
anche inconsapevolmente».
C’è una cosa che, ogni volta che la vede o
la sente, la lascia senza fiato?
«Nel mio ultimo spettacolo, Per la strada,
racconto ancora una volta la mia città. Le strade
di Napoli sono animatissime: nell’aria si
respira l’odore del mare e delle sfogliatelle,
c’è la musica in sottofondo, c’è sempre un
sacco di gente che non si sa dove sia diretta.
La strada a Napoli non è mai soltanto un luogo
in cui si cammina, ma è un mondo intero.
E spesso per strada mi capita di incontrare
bambini che ricambiano un mio sorriso o
accolgono una mia carezza, senza avermi
mai vista prima. Questa naturale bontà che
abbiamo dentro di noi: ecco cosa mi lascia
senza fiato».
Eugenio Arcidiacono