05/08/2010
Paolo Perazzolo commenta il libro di Matteo Nucci.
«Si può smettere di rifare sempre le stesse cose che hanno fatto i padri?». Lorenzo veglia il padre. Attorno al defunto si muovono le diverse donne della sua vita, la figlia Martina, gli amici di Lorenzo, parenti e conoscenti.
Nessuno però è stato sconvolto dal lutto come Lorenzo: la morte del padre ha scatenato in lui un drammatico esame di coscienza, dettato dall’ossessione di non ripetere gli errori del genitore, uomo dal tradimento facile e giocatore d’azzardo. La vita del giovane – potrebbe avere più o meno l’età dell’autore, 40 anni – sembra in effetti ricalcarne le orme: non ha il vizio del gioco, ma ha già visto sfaldarsi il suo matrimonio e si è messo con la donna del suo migliore amico...
Chiuso il primo quadro, “Veglia”, se ne apre un secondo, “Vento”. Lorenzo è con Sara, la nuova compagna, su un’isola greca. La crisi aperta dalla morte del padre scava dentro di lui, rendendo inevitabile lo scontro con la ragazza: lei vorrebbe leggerezza e lo trova noioso. Il terzo e ultimo quadro, “Volto”, vede il protagonista di nuovo a Roma, ancora in preda ai dubbi. Sarà la madre a spingerlo a capire che il suo destino è nelle sue mani, che non è una fatale reiterazione della vita del padre.
Il merito di Sono comuni le cose degli amici (Ponte alle Grazie) di Matteo Nucci, finalista allo Strega, è di affrontare con coraggio temi centrali della vita. Qui si parla d’amore e tradimento, di libertà e responsabilità, del rapporto fra padri e figli, della centralità della famiglia nella costruzione dell’identità (davvero belle le descrizioni delle cene). E l’allusione del titolo all’amicizia non resta vuota: angosciato dalla solitudine del padre, Lorenzo comprende che, se continuerà a tradire, farà la stessa fine. Nucci racconta questo percorso esistenziale con una scrittura sorvegliata (c’è forse qualche lungaggine, mentre l’ultimo capitolo evita un facile happy end che avrebbe rovinato tutto) e sensibile a ogni sfumatura dei sentimenti, anche attraverso l’“ascolto” del paesaggio.
Paolo Perazzolo