12/11/2011
La copertina di "Otel Bruni".
«Chi è abituato a narrare, si imbatte in una storia straordinaria e la narra». A Valerio Massimo Manfredi non importa se è ambientata in un’epoca più o meno lontana. E neppure se il protagonista è un prode re, come Alessandro Magno, o una famiglia di contadini emiliani, come i Bruni. Sono infatti Callisto, Clerice e i loro figli - 7 maschi e 2 femmine - gli eroi di Otel Bruni (Mondadori), ultimo romanzo del noto archeologo e scrittore: «È una saga familiare, dal passo epico, come ogni mio libro. Ma è un’epica degli umili: parte dal basso e ignora i potenti», spiega.
I Bruni sono mezzadri. Lavorano con fatica i campi di un notaio di Bologna. La cronaca delle loro vicende inizia la notte del 12 gennaio 1914 nel famoso Otel Bruni, la stalla-ricovero per viandanti e derelitti, vicino alla cascina. E prosegue fino al ‘49, attraverso guerre, lutti e soprusi che segnano la fine di quel mondo antico, fatto di valori e leggende, di cui la famiglia è depositaria: «Ho voluto consegnare alla memoria il mondo che ho visto da bambino».
Valerio Massimo Manfredi (classe 1943) è archeologo, conduttore televisivo e scrittore. I suoi saggi e romanzi storici hanno venduto oltre 10 milioni di copie nel mondo.
- Che cosa la lega a questa storia?
«Maria Bruni, la figlia minore, era mia nonna. Ho sentito questa storia
in casa da lei e da mamma. Nel ’94 ne scrissi una novella, Hotel Bruni
(con l’H), per la raccolta Storie d’inverno. Ma ho sempre pensato a un
romanzo dal respiro importante: l’ho scritto l’estate scorsa, mentre mio
figlio lavorava alla tesi di laurea sul delitto di cui si accusò un
altro Bruni, Armando».
- Insomma, c’è aria di famiglia…
«Gli eventi narrati sono unici, la maggior parte veri: ho attribuito ai
Bruni anche fatti accaduti ad altri, per farne il simbolo della famiglia
italiana dell’epoca, che doveva affrontare prove tremende».
- Come la partenza dei figli per la Grande Guerra…
«Tutti e sette tornano dal fronte: il primo rientra il giorno del
funerale del padre! Poi c’è il fascismo, di cui la famiglia è vittima, e
la seconda guerra mondiale che porta fino in Russia un’altra
generazione Bruni. Infine, la guerra civile».
- Nelle difficoltà i Bruni si danno da fare e restano uniti, finché
possono…
«C’è un che di eroico in questo. Per loro è fondamentale il rapporto con
la terra: non fa ricchi ma garantisce la sopravvivenza e ripaga il
sudore versato. Preferiscono la vecchia dura vita ai sogni di gloria
promessi da un’inattesa eredità».
- In 358 pagine si assiste all’ascesa e al declino della famiglia. Quale
evento è decisivo?
«L’incendio dell’Otel Bruni per mano fascista. Chiunque bussasse alla
grande stalla della cascina Bruni, con la neve o la pioggia, sapeva di
trovare un giaciglio e un pezzo di pane. L’Otel era poi il luogo delle
veglie invernali, in cui il narratore popolare raccontava storie
meravigliose. Il rogo chiude un’epoca, fatta anche di magia e fantasia».
- Tramonta il mondo contadino…
«Non voglio idealizzare la società di allora: era chiusa, a volte
meschina. Ma aveva grandi valori, come la parola data, l’attaccamento al
lavoro, la dignità e un’incredibile solidarietà».
- Questi valori guidano le vicende umane e amorose dei protagonisti? Chi di loro incarna meglio l’epoca?
«Tutti. Ognuno a modo suo. Ma spicca Floti: è il leader, il più
intelligente, vede lontano, ha iniziativa e convinzioni politiche».
Laura La Pietra