Meno cose, più relazioni

Intervista a Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la decrescita felice, mentre "Famiglia Cristiana" pubblica un'inchiesta sulla riscoperta della sobrietà.

01/12/2011

La parola del momento è: crescita. Economisti, politici e opinionisti sembrano fare a gara nel dire che, senza crescita, non usciremo mai dalla crisi e il nostro debito resterà una montagna impossibile da scalare. Pochi osano mettere in discussione, soprattutto in questa fase travagliata, una simile verità. Fra questi, Maurizio Pallante, fondatore e direttore del Movimento per la decrescita felice, da poco in libreria con un saggio che spiega la sua verità: Meno e meglio. Decrescere per progredire (Bruno Mondadori). Lo abbiamo intervistato, mentre Famiglia Cristiana, nel numero in edicola, presenta un'approfondita inchiesta sulla riscoperta della sobrietà e dei nuovi stili di vita.

Pallante, gli economisti di tutto il mondo ci stanno spiegando che dobbiamo tornare a crescere, cioè che il Pil (Prodotto interno lordo) deve aumentare, altrimenti resteremo nelle secche della crisi. Lei invece sostiene una tesi opposta...
«La crescita è la causa della crisi. Ci dovremmo porre una domanda: perché tutti i Paesi industrializzati del mondo hanno debiti pubblici così alti, a cui si devono sommare i debiti privati di aziende e famiglie? La risposta è: perché si acquista più di quanto consenta il reddito e perché si produce più di quanto il mercato richieda. Tecnologie sempre più avanzate aumentano la produttività, quindi l'offerta di merci, ma diminuiscono il numero degli addetti, quindi il potere d'acquisto.  Se tutto questo è vero, come si pensa di sconfiggere la crisi con la crescita? E poi c'è un altro aspetto del problema».

Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la decrescita felice.
Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la decrescita felice.

Quale?
«Il rapporto fra l'economia e l'ambiente. Più si produce, più si ha bisogno di energia e si consumano le risorse e più si è spinti a gettare via il vecchio, aumentando la massa dei rifiuti. La verità è che gli strumenti classici della politica economica non funzionano più, per il semplice fatto che l'aumento della domanda comporta un aumento del debito. La sfida diventa allora quella di reperire denaro, senza però accrescere il debito. Come fare? Riducendo gli sprechi, con l'effetto di attenuare l'impatto ambientale e i rifiuti».

Ci può fare qualche esempio?
«In Italia le case consumano in media ogni anno 20 litri di gasolio o 20 metri cubi di metano. In Germania, quelle medie scendono a 7, soglia al di sopra della quale non viene concessa l'abitabilità. Le case oiù evolute arrivano a una media di 1,5. Oppure il cibo: lo sa che buttiamo cibo per un valore pari al tre per cento del Pil? Se la politica economica viene indirizzata a ridurre i consumi, diminuiscono i costi e si liberano risorse che devono essere indirizzate alla ricerca e ai salari».

Il problema è anche culturale: la parola "decrescita" suscita sensazione negative...
«Si pensa a sacrifici, rinunce e così via. Il fatto è che siamo abituati a ragionare in termini meramente economici, misurando il nostro benessere in base al Pil, che è del tutto inadeguato a misurare la qualità della vita. La mia famiglia ha un orto: i prodotti che arrivano da lì, non incidono sul Pil, ma danno grandi benefici a me, mia moglie e i miei figli».

Una casa con pannelli solari per la produzione di energia pulita.
Una casa con pannelli solari per la produzione di energia pulita.

Quali scelte concrete dovrebbe attuare una famiglia interessata alla "decrescita felice"?
«Il Movimento si articola in sedi e circoli territoriali che lavorano in varie direzioni: gli stili di vita, le tecnologie per eliminare gli sprechi, i piani amministrativi per sostenere le scelte individuali. In concreto, ogni famiglia può recuperare il valore della sobrietà, la capacità di autoproduzione per ridurre quanto più possibile la propria dipendenza dal mercato e l'importanza delle relazioni. Nella vita quotidiana dovremmo tornare a fare come le nonne, perché oggi abbiamo perso ogni abilità manuale. Nelle nostre Università del saper fare, si insegna a fare lo yogurt, il pane, la pasta, le marmellate, ma anche a riparare una bicicletta o i guasti in casa, cucire...Tante realtà - come i Gruppi di acquisto solidale (Gas), le Banche del tempo, i progetti di cohousing - hanno rimesso al centro la relazione, lo scambio e il dono di tempo».

L'obiezione di tante persone è: a che serve impegnarsi in scelte di questo tipo, quando il mondo va in tutt'altra direzione?
«Oggi siamo in balia del mercato. Ogni variazione del prezzo del petrolio ha ripercussioni pesanti non solo sulla benzina, ma, ad esempio, sul costo degli alimentari. Chi aderisce a un Gas, ha un rapporto diretto con i produttori, con i contadini locali, che lo mette al riparo da queste oscillazioni. Si stanno diffondendo nicchie di resistenza sempre più autonome nel provvedere al proprio fabbisogno, dotate di grande capacità comunicativa: ecco perché quell'obiezione è falsa».

Paolo Perazzolo
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