12/12/2012
La giornalista Nunzia Penelope.
Con Soldi rubati ci ha raccontato un’Italia dilaniata da corruzione, sprechi e denaro sporco. Con il nuovo libro Ricchi e poveri (Ponte alle Grazie) la giornalista e scrittrice Nunzia Penelope prosegue la sua analisi delle piaghe e dei malesseri del nostro Paese. Una rigorosa analisi che illustra, al di là di ogni facile demagogia, una nazione ricca di talento, ma povera di speranza. In quale Italia stiamo crescendo i nostri figli? Ce lo spiega in quest’intervista.
Un giorno lei a Roma sale sul bus 160 e sente dire a una ragazza: “Io non voglio più di quello che ho. Però vorrei che gli altri non avessero così tanto. Che avessero il giusto”. È la molla che le ha fatto scrivere questo libro?
«Di quella ragazza mi ha colpito la capacità di riassumere con poche parole il disagio di milioni di persone. In un mondo caratterizzato dall’avidità, c’è ancora gente cui non importa l’accumulo del denaro, ma vorrebbe disporre del necessario per una vita dignitosa. La ragazza del bus rappresenta quel ceto medio che non desidera arricchirsi ed è terrorizzato all’idea di una miseria che sa di non meritare, mentre vede altri godere di spaventose ricchezze».
Il suo è un libro denso di dati, riferimenti, confronti statistici tra l’Italia e il resto del mondo. Nello stesso tempo trasmette emozioni. Quali sono gli stati d’animo oggi prevalenti in Italia, nel bene e nel male?
«Sono felice che il mio libro riesca a trasmettere emozioni ai lettori. Io per prima mi sono emozionata scrivendo certi capitoli. Faccio la giornalista da molti anni, ma alcune delle cose che ho scoperto con questa inchiesta sono riuscite a stupirmi. Per esempio, non siamo affatto un Paese povero, ma un Paese ricco abitato da poveri. Il nostro patrimonio privato ammonta a nove mila miliardi, quasi cinque volte il debito pubblico. Purtroppo, la ricchezza è di pochi, mentre il debito è di tutti. Questo causa tre stati d’animo differenti: il primo è rabbia verso la casta, la politica, l’euro, ecc. Il secondo è l’idea che nulla può cambiare. La terza, infine, è la fiducia in un ritorno all’equità. Purtroppo, temo che si stiano riducendo parecchio quelli che ancora si riconoscono in quest’ultimo stato d’animo».
Ricchi e poveri. Di chi è la colpa se il Paese è drammaticamente diviso in due?
«Abbiamo una colossale ricchezza privata, ma concentrata in poche mani. Appena sei milioni di italiani si spartiscono la metà del tesoro nazionale, e agli altri 54 milioni restano le briciole. C’è chi colleziona ville faraoniche e chi vive nelle roulotte, perché non può pagare un affitto, chi compra borsette da settemila euro e chi fa la fila alla Caritas. Anziché ricercare le colpe, oggi credo sia necessario e urgente ricercare le soluzioni.
Assistiamo a una povertà crescente. Ma c’è un fenomeno altrettanto preoccupante: la percezione di una povertà latente. Insomma se una volta molti di noi andavano a dormire pensando: “Domani è un altro giorno”, oggi si addormentano con la paura che sarà sicuramente un giorno peggiore».
Una manifestazione contro il precariato (Ansa).
È d’accordo?
«Si, ed è una situazione inedita per l’Italia, Paese tradizionalmente
ottimista. Del resto, come non aver paura, se lo stipendio medio di un
lavoratore dipendente è pari a 1.200 euro, poco superiore alla soglia di
povertà indicata dall’Istat, cioè 1.011 euro? In concreto, significa
che se ti si rompe la lavatrice cadi nella miseria, perché non puoi
sopportare la spesa imprevista di 200 euro.
A chi giova un popolo che ha paura del futuro?
A nessuno. Io ho sempre pensato che il futuro sia un diritto per tutti,
ricchi e poveri, giovani e vecchi, donne e uomini. Ma nell’ultimo disco
di Francesco De Gregori c’é una canzone, dedicata a una ragazzina di 17
anni, che precisa meglio il concetto affermando: ‘’Oggi credo che il
futuro sia un dovere’’. Voterei volentieri un partito che lo usasse come
sintesi del proprio programma».
Torniamo al libro. Lei parla di lavoro, casa, scuola, sanità che stanno
diventando un lusso per un numero di persone sempre maggiore. Lo so che è
difficile spiegarlo in poche parole, ma come si può invertire questa
tendenza?
«Mettere soldi in tasca ai poveri. Aumentando i salari, o distribuendo
sussidi. Obama ha vinto le elezioni investendo per la sanità pubblica,
per l’università e promettendo di tassare i ricchi per avere le risorse
necessarie ad alimentare questa sacrosanta spesa pubblica. Il risultato è
che l’economia Usa è lentamente in ripresa, a differenza della nostra.
Al centro di una società fragile, c’è una famiglia fragile. Famiglie che
si sgretolano, potenziali famiglie che non si creano».
L’Italia
aspetta sempre politiche attive in questo campo. Come mai tardano a
venire?
«Secondo le statistiche dell’Istat, oggi tra i più poveri ci sono le
famiglie con figli. Un grave fallimento per un Paese che nella sua
Costituzione indica la famiglia come nucleo base della società.
Sposarsi, fare figli, sono diritti da garantire a tutti, non lussi
riservati a pochi. In Germania le coppie hanno anche quattro bambini, e
questo perché c’é un sistema eccellente di aiuti pubblici. In Italia le
donne sono ancora costrette alla scelta tra fare figli o lavorare».
Questa crisi sembra costringerci a riformulare i nostri modelli di
consumo, i nostri valori di riferimento. Quando ‘passerà la nottata’
quale tipo di Italia si immagina?
«L’Italia che spero, ma che al momento difficilmente immagino, è più
onesta. Ma spero anche in un’Italia meno sessista e meno gerontocratica.
Infine, vorrei un Paese in cui a tutti sia concesso comprarsi, che ne
so, un nuovo rossetto: talvolta lo shopping fa bene all’anima oltre che
all’economia».
Un’ultima domanda. Il libro si apre con questa citazione: “Dolce è il
sonno del lavoratore, poco o molto che mangi; ma la sazietà del ricco
non lo lascia dormire”. (Ecclesiaste 5). Perché una citazione biblica?
«Mi piace molto la Bibbia, sia dal punto di vista letterario sia dei
contenuti. Credo contenga più o meno tutto quello che c’è da sapere: lo
dico da laica. Il mondo cattolico si è per primo posto il problema del
rapporto squilibrato tra ricchezza e povertà, di come risolverlo, e la
frase dell’Ecclesiaste lo riassume perfettamente. Ma il libro contiene
anche questo monito del Cardinal Martini: ‘’Quando alla fine della vita
saremo interrogati sull’amore, non potremo delegare la risposta alla
Caritas’’. Le scelte di politica economica dei nostri Governi dovrebbero
tenerne conto».
Giorgio Trichilo