12/01/2011
Paolo Perazzolo recensisce "Persecuzione" di Alessandro Piperno. Nato a Roma nel '72, l'autore insegna Letteratura francese a Tor Vergata (Roma) ed è uno studioso di Proust.
Attesa, dopo il successo dell’esordio
con Le peggiori intenzioni, la seconda
prova di Alessandro Piperno si
segnala per diverse ragioni. Una scrittura
generosa, avvolgente che, attraverso
continui flashback, arricchisce
progressivamente il quadro e approfondisce
lo scavo psicologico dei personaggi;
la complessità dei temi affrontati;
il fatto che si tratti di una prima puntata,
cui ne seguirà un’altra nell’autunno
prossimo (contro la logica, anche
editoriale, dell’usa e getta), tutto questo
fa di Persecuzione (Mondadori) un romanzo che
si staglia su gran parte della narrativa
contemporanea, soprattutto su quella
riconducibile agli autori più giovani.
E, per essere chiari, questa differenza è
per noi motivo di valore.
Assunto il punto di vista del narratore
esterno, Piperno racconta la storia
di Leo Pontecorvo, un uomo di 48
anni proveniente da un’agiata famiglia
ebraica, oncologo dell’infanzia di
chiara fama, brillante docente universitario,
sinceramente affezionato alla
moglie e ai figli. Una tranquilla domenica
sera del 1986 questa vita idilliaca
viene d’un colpo mandata in frantumi:
il Tg informa il Paese intero che
Leo avrebbe scambiato lettere compromettenti
con Camilla, una dodicenne
che è pure la fidanzatina del secondogenito.
Trascorso l’istante eterno
di quell’annuncio, il protagonista
non saprà far altro che rintanarsi nel
seminterrato della sua villa romana,
da dove uscirà, in pratica, soltanto
morto, nonostante sia colpevole al
massimo di vanità e leggerezza.
Svelando questi particolari, non abbiamo
affatto guastato il piacere della
lettura; è il narratore stesso a metterli
in campo fin dall’inizio. Il romanzo si
gioca su altri livelli. Perché Leo non si
difende? Pesano di più, in questa passività,
il senso di vergogna, la viltà o
l’inettitudine alla vita pratica, così stridente
se confrontata con il talento
professionale? Possibile che non trovi
la forza di affrontare la moglie, di
spiegarsi con i figli? Chi sta macchinando
contro di lui?
In questa prima puntata, gli interrogativi
sono tutti a carico di Leo; nella
seconda, è presumibile che si riversino
sui familiari, a loro volta rei di
aver segregato senza appello il maritopadre.
Disseminati abilmente qua e
là, alcuni episodi all’apparenza marginali
(l’allarme della villa che suona, i
disegni recapitati al recluso...) proiettano
un’ombra da thriller sul prosieguo.
La vicenda ha anche implicazioni
sociali, la più significativa delle quali
è riassunta in una frase che Leo bambino
aveva udito dal rabbino: «L’apparenza
diventa l’unica realtà». A essa si
votano i mass media, l’opinione pubblica,
gli amici, la famiglia stessa...
Con interesse aspettiamo la seconda
e ultima parte, per capire come i
tanti fili annodati nella prima verranno
sciolti. Solo allora sarà possibile
una valutazione compiuta.
Paolo Perazzolo