L'italiano ti cambia la vita

Il professor Gian Luigi Beccaria ci spiega perché sapere bene l'italiano può cambiarci la vita. Tante parole ci aiutano a capire, a essere cittadini più colti e consapevoli

17/06/2011
La copertina di Mia lingua italiana, Einaudi.
La copertina di Mia lingua italiana, Einaudi.

Le parole che usiamo parlano di noi. Non è un modo dire ma una delle ragioni per cui, cogliendo di volta in volta un'occasione nuova, escono libri che ci parlano della salute della nostra lingua, libri divulgativi, accessibili alle persone comuni.

Mantenere l'italiano in buona salute è, infatti, un modo di mantenere sani noi stessi e il nostro ruolo di cittadini. A spiegarcelo è Gian Luigi Beccaria, storico della lingua italiana, autore per Einaudi di Mia lingua italiana, un saggio sull'unità, non d'Italia ma dell'italiano.

Professore, come sta la lingua italiana?
«La lingua bene è viva e vegeta per chi la sa usare, meno bene stanno coloro che l'adoperano parlando e soprattutto scrivendo: si pensi a certi concorsi per procuratori in cui si viene bocciati per errori di ortografia».
 
Sono gli errori più gravi?
«Sono i più evidenti, quelli che fanno fare brutta figura, ma il vero problema delle giovani generazioni è la mancanza di dominio delle strutture sintattiche. Mi spiego meglio: se le parole, in una lingua sono la carne, la sintassi, cioè la struttura con cui le parole si articolano tra loro in una frase, è lo scheletro. Nella mente dei ragazzi si diffonde un problema su questo fronte, un problema di ordine logico».

Quanto è importante avere tante parole semplicemente per vivere?
«Molto, un vocabolario limitato pregiudica la comprensione della complessità del mondo. La ricchezza di vocabolario è ricchezza di capacità di comprensione, più si impoverisce il vocabolario, più si impoveriscono le sfumature».

Dov’è il rimedio?
«Nella scuola: ha importanza primaria, servirebbe più tempo da dedicare alla lingua italiana e invece qualche taglio c'è stato e qualcuno provoca chiedendo che si insegnino i dialetti. E invece bisognerebbe tornare quegli esercizi noiosi utilissimi come parafrasi e riassunti, ridurre molto a poco, capire con precisione le parole, impossessarsi delle parole».

E per chi a scuola non va più?
«La lettura: ci si arricchisce leggendo, non si legge abbastanza e ci sono case tristissime prive di libri. Io faccio quello che faceva la filoga Maria Corti, siccome mi arrivano a casa una quantità di romanzi e non ho spazio, ne semino 5 o 6 e li metto sul muretto davanti a casa. Resistono due minuti, magari è narrativa di medio livello ma già qualcosa che uno li legga». 

Che conseguenze ha la povertà di parole sulla vita dell'uomo comune?
«Purtroppo effetti non solo linguistici, ma anche civili, politici: chi non conosce le parole si beve tutto, sente in Tv certi discorsi, pronunciati da personaggi autorevoli che governano e li prende per buoni, se avesse un po' più di senso critico, più coscienza delle parole e dei loro significati verrebbe meno manipolato, è un problema fondamentale».

A prosito di parole in cronaca: la politica è piena di  "-ismi": giustizialismo, laicismo, buonismo. Che cosa ci dice di noi questo suffisso?
«Si pensa di sistemare il mondo in questa etichetta, invece le parole fondamentali, giustizia, libertà, democrazia, hanno perso sostanza. Si usano parole svuotate con manomissione di significato. Gli "-ismi" fanno comodo, ma sono legati a questa manomissione». 

Parole vuote eppure tante, tante, soprattuto in Tv, siamo sommersi di parole...
«Si abusa non solo degli aggettivi: "concreto" per esempio, va benissimo ma se non mi dici che cosa vuoi fare la concretezza sfuma. Si abusa dell'epressione "fare un passo in avanti", è vuota se non mi dici verso dove. Il linguggio della politica è sempre stato così, ma oggi questa vaghezza è aumentata. Se non si sa smontare un discorso, perché non si conosce bene il significato delle parole, ci si lascia infinocchiare».

Attribuiamo spesso ai nuovi media l'impoverimento linguistico. E' davvero colpa del mezzo o è un problema di chi lo adopera?
«Il mezzo è in sé poco significativo, quando si inventò la fotografia si pensò che avrebbe ucciso la pittura, invece il mezzo è sempre un arricchimento: abbiamo autostrade di informazione che ci arrivano attraverso la Rete. Non possiamo incolpare il mezzo. Però l'utente sì, il problema è sempre il manovratore, la lingua non diventa povera, anzi è sempre più ricca, i vocaboli ci sono basta usarli, il problema non è di mezzi è di cultura. La nostra lingua è molto amata nel mondo: è una lingua di cultura di gastronomia di arte, il problema è che è sempre meno lingua ufficiale: ci penalizza il fatto che in Europa si parli inglese, francese e tedesco».

Elisa Chiari
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Postato da Mara44 il 17/06/2011 17:34

Parole sante. Purtroppo ascoltiamo quotidianamente veri e propri sproloqui, anche da persone che si ritengono istruite. E i congiuntivi? Nel mio piccolo, spesso, con bonarietà, correggo gli amici e devo dire che finora nessuno ancora si è offeso.

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