17/05/2011
L'Università di Bergamo, dove lo scrittore Angelo Roma insegna Scrittura creativa.
Un Marlon Brando a Bergamo. Un guascone inquieto e sognatore nato e cresciuto in una città tradizionalista e abituata a badare al sodo. È Gabriele Borsoni, il protagonista di L’angelo ribelle (Tropea Editore), quarto romanzo di Angelo Roma. Un libro narrato in prima persona dal protagonista settantenne, che rievoca la sua vita avventurosa che lo ha portato a girovagare da Parigi a Los Angeles, prima di ritornare nella sua città, sempre spinto da un insopprimibile desiderio di libertà.
- Anche l’autore, brindisino d’origine, vive da anni a Bergamo, dove insegna Scrittura creativa all’Università. Qual è stato lo spunto iniziale del libro?
“L’idea di confrontarmi con un personaggio opposto rispetto al protagonista del mio precedente romanzo, Confessioni di un egoista, che era un uomo estremamente mite e molto legato alla famiglia. Gabriele invece è animato da un’energia incontenibile che spesso lo porta a compiere azioni non condivisibili, pur mantenendo sempre una sorta di purezza e di onestà intellettuale di fondo”.
- Un ribelle che però ha una guida che lo accompagna sempre: il Vangelo. Perché è così importante per lui?
“Attraverso il Vangelo, Borsoni scopre che non bisogna avere paura delle proprie debolezze, ma affrontarle e imparare dai propri errori. E poi è affascinato da Gesù, che non si circondava mai di persone che, almeno in apparenza, avevano una vita cristallina e per questo godevano della stima generale, ma preferiva stare con chi ogni giorno faceva i conti con la propria coscienza”.
- Un tema centrale nel romanzo è l’importanza di non dissipare il proprio talento.
“Sì, Gabriele appartiene a una famiglia di gioiellieri, ma preferisce lasciare la strada che i suoi genitori hanno prefissato per lui per seguire la sua passione per la cucina e diventare un grande chef. È un invito non abbandonare mai le proprie aspirazioni, anche se questo vuol dire rinunciare a facili guadagni”.
- Il protagonista vive un rapporto di amore e odio con Bergamo. Anche per lei è così?
“No, quando sono arrivato da Brindisi mi sono subito trovato benissimo. In quanto al protagonista, riesce a non perdersi proprio perché, suo malgrado, ha introiettato quel pragmatismo e quella volontà di non piangersi mai addosso che sono tipici dei bergamaschi”.
- La passione che nutre per Hemingway è anche la sua?
«È la parte più autobiografica del libro. Adoro la grande letteratura americana del Novecento, scrittori che ti fanno dimenticare della loro presenza per catapultarti dentro le storie che raccontano, come se tu fossi un personaggio aggiuntivo del romanzo. Quando leggo Hemingway mi sembra di sentire l’odore del pesce cucinato sulla spiaggia».
- Lei insegna scrittura creativa. Quali sono i primi consigli che dà a un aspirante scrittore?
“Il primo è che non si può scrivere senza prima aver letto tanta buona letteratura. Il secondo è vivere la propria vita il più pienamente possibile”.
- Qual è l’errore più comune che si commette quando si scrive un romanzo?
“Spiegare i contenuti anziché farli emergere spontaneamente dalla narrazione”.
- Hanno grande successo romanzi scritti da personaggi del mondo dello spettacolo. I suoi allievi non corrono il rischio di pensare che il mestiere dello scrittore sia alla portata di tutti?
“Sì, e in questo l’industria editoriale ha responsabilità enormi perché spaccia per letteratura ciò che al massimo è un onesto intrattenimento. Trovare sullo stesso scaffale un grande libro accanto all’ultimo bestseller costruito a tavolino alimenta solo l’illusione che per diventare scrittori sia sufficiente indovinare una storia e scriverla nel modo più informale possibile. La grande letteratura è un’altra cosa, colloquia con te e scuote la tua coscienza anche se è stata scritta in un tempo e in un luogo distantissimi dai tuoi. Ha una forza tale che quando chiudi il libro, sei diventato una persona diversa».
Eugenio Arcidiacono