01/03/2012
Savino Pezzotta, parlamentare dell'Udc, è stato per sei anni leader della Cisl.
Nella vita ognuno si sceglie i suoi compagni
di strada. E che Savino Pezzotta
abbia voluto al suo fianco don Tonino
Bello non sorprende affatto: questione di
affinità elettive. Non si creda, però, che lo abbia
voluto come “amico” per esserne rassicurato
o confortato. Al contrario, ne ha fatto
per la sua esistenza e la sua carriera un pungolo,
una voce che continuamente lo sfida e
lo interroga, chiamandolo a un’adesione più
radicale al Vangelo, qui e ora.
Apprendista meccanico a 12 anni in
un’azienda del suo paese, Scanzorosciate (Bergamo),
si iscrisse alla Cisl nel 1963, per poi esserne
eletto segretario generale nel 2000,
mantenendo la carica per sei anni. Fra i promotori
del Family day, è stato eletto nelle file
dell’Udc alle politiche del 2008. La presidenza
del Consiglio italiano per i rifugiati e l’attività
nella Commissione parlamentare che si occupa
di xenofobia e razzismo completano il quadro
degli impegni di un uomo che ha tentato
di portare una testimonianza cristiana nel lavoro,
nella politica, nel sociale.
Pezzotta, ha conosciuto personalmente
don Tonino Bello?
«Non direttamente, ma l’ho sempre seguito.
Aveva un grande carisma, è stato una figura
viva, grande, vera. Non è facile trovare vescovi
come lui».
Don Tonino Bello con un gruppo di immigrati che aveva accolto in Chiesa.
I testi raccolti nel volume allegato a Famiglia
Cristiana insistono sul richiamo di don
Tonino a una testimonianza fuori dalle sagrestie,
nelle praterie della quotidianità. Il suo
impegno si è ispirato a questo principio?
«Ho tentato di essere un cristiano che si impegnava
nella storia. Non so se ci sono sempre
riuscito. Per fortuna don Tonino diceva
che le nostre incoerenze non debbono spaventarci.
L’immagine di una “Chiesa della stola
e del grembiule” è bellissima, quanto difficile
da realizzare: da un lato coltivare l’aderenza
alla Chiesa, dall’altro essere dentro la quoti-dianità, senza avere
paura del mondo. Siamo
chiamati a guardare oltre, tenendo lo sguardo
sul presente. Sappiamo che il Regno è già qui,
alla nostra azione spetta il compito di ampliarlo,
rischiando anche qualcosa di proprio».
Ritiene di esserci riuscito meglio come sindacalista
o come politico?
«Da sindacalista. La mia passione è stata
quella di cercare di essere cristiano prima come
operaio, poi come rappresentante dei lavoratori.
In questa veste ho sempre sentito una
tensione verso la condizione umana che incontravo.
Mi sforzo di farlo anche da parlamentare,
ma – come diceva Flannery O’Connor
– la politica è l’attraversamento del territorio
del demonio, le tentazioni sono tante...».
Il volume di don Tonino Bello allegato al numero di "Famiglia Cristiana" in edicola.
Il presidente Napolitano di recente ha ricordato
che il lavoro non è un privilegio, ma
un diritto di ogni persona...
«La mancanza di occupazione non può essere
ridotta a fatto meramente economico, perché
il lavoro – che non è mai un fatto individuale,
ma di relazione con gli altri – è il momento
in cui l’individuo mette il suo talento al servizio
della comunità. La precarietà lo riduce a
una dimensione esclusivamente strumentale.
È molto pericoloso, in quanto, al di là delle sofferenze
morali e materiali, viene negato qualcosa
di profondamente umano. Una delle prime
scelte di don Tonino, appena nominato vescovo,
fu di visitare una fabbrica occupata».
Fra i suoi lasciti ancora attuali e fecondi, vi
sono la teoria e la pratica della non violenza...
«Non come remissività, bensì come modalità
privilegiata per dirimere le controversie. In
questo senso la sua marcia a Sarajevo è una luce,
un interrogativo, un punto di riferimento,
che poi altro non è che la traduzione del Comandamento
“Non uccidere”. Ecco, la vita e gli
scritti di don Tonino ci pongono una serie di
domande, alle quali siamo chiamati a dare
una risposta immergendoci nella storia».
Paolo Perazzolo