26/11/2011
Vittorio Sgarbi.
Avere la meglio sul mistero della donna è impresa quasi impossibile. Si può cercare di illuminarlo, suscitando curiosità e provando, al contempo, a risolverla. È quello che fa Vittorio Sgarbi nel suo ultimo libro Piene di grazia. I volti della donna nell'arte (Bompiani) con uno stile molto originale che ammicca alle suggestioni letterarie e poetiche, agli aneddoti anche privati e, ovviamente, al gusto personale. Dalla celeberrima Gioconda, «opera di assoluta semplicità ma di cui si crede o si pensa di dover rivelare il mistero», all'Annunciata di Antonello da Messina; dalla grazia eterea, quasi impalpabile, dei Preraffaelliti fino all'essenza demoniaca e desacralizzata dei volti di Gustav Klimt e delle donne-bambine di Balthus. «Un libro di storia dell'arte potrebbe essere quasi esclusivamente un libro sulla donna», dice Sgarbi, «tanta è la quantità di opere che essa ha ispirato dall'antichità a oggi».
Forse perché a dipingere sono stati prevalentemente gli uomini.
«Non è vero. Ci sono anche grandi artiste, da Artemisia Gentileschi a Rosalba Carriera. Ma c’è dell’altro».
Cosa?
«Non riesco a immaginare un mondo di pittrici che attribuiscano i più diversi e opposti significati all'immagine insipida dell'uomo. La donna è simbolo di vizio e virtù, seduzione e dedizione, piacere e crudeltà. Quindi, una fonte inesauribile di ispirazione che ne fa il soggetto-oggetto più frequente non solo nell'arte, ma anche nella musica, nella poesia, nella religione».
Soprattutto in quella cristiana.
«Anche se la Chiesa spesso è tacciata di essere maschilista, la figura della Madonna, che è il vertice della creazione, per la straordinarietà che incarna smentisce in maniera eclatante questo cliché».
La copertina del volume di Sgarbi dedicato alle donne nell'arte.
Per quale motivo ha ispirato gli artisti di ogni tempo al punto da
indurne alcuni come Giovanni Bellini a dipingere solo Madonne in tutta
la loro carriera?
«Per due motivi: pur essendo vergine, è anche madre del Figlio di Dio. E
poi, un elemento spesso taciuto, Maria è il primo essere umano come noi
che viene assunto in cielo, nell’infinito, con il suo stesso corpo,
finito».
La sua preferita?
«L'Annunciata di Antonello da Messina. L'angelo non c'è, o
meglio, noi non lo vediamo perché la Vergine, in realtà, ce l'ha dentro
di sé. Il suo sguardo è rivolto verso di noi ma è come se con il gesto a
mezz'aria della mano volesse intimare di fermarci per permetterle di
scrutare nel suo animo e ascoltare la voce angelica che è parola, non
apparizione. A differenza dell'Annunciazione di Lorenzo Lotto,
qui Maria non trema per la paura ma esprime consapevolezza e
determinazione».
Chi esprime meglio l’idea di eternità?
«Ilaria del Carretto. Jacopo della Quercia nel consolare Paolo Guinigi
per la perdita della giovane moglie sembra che voglia eternare la sua
immagine nel marmo. La scultura funebre, in realtà, è una sfida al
tempo, la volontà di non cedergli. Il viso di Ilaria è elegante, non
lugubre. Incredibilmente vivo».
E la seduzione?
«La Gioconda perché ti guarda dritto negli occhi e ti sfida con aria
spavalda e ambigua. Come una Nicole Minetti».
E quella di esclusività?
«La Dama con l’ermellino perché ha uno sguardo di lato che dà l’idea di
essere devota ad un solo uomo. Come Elisabetta Tulliani con Gianfranco
Fini o la Gregoraci con Flavio Briatore. Non a caso, Leonardo dipinge
Cecilia Gallerani, l’amante di Ludovico Sforza il Moro, duca di Milano,
uomo ricco e potente. La dedizione spesso nasce dall’interesse che, di
per sé, non è un dato negativo».
Sembra una storia dei nostri giorni.
«Ludovico il Moro era un po’ come Berlusconi oggi, con la differenza che
quest’ultimo si è fatto travolgere dalle donne. È uscito di scena per
una crisi sessuale, non politica».
Gliel'ha mandato il libro?
«Sì. Gli ho scritto: “Ne conosci tante, ma non queste”».
Antonio Sanfrancesco