16/01/2013
Ognjen Spahić è nato e vive a Podgorica, Montenegro, dove collabora con il quotidiano indipendente “Vijesti”.
San Francesco capì se stesso nel momento in cui, scendendo da cavallo, baciò il lebbroso da cui tutti sfuggivano. Prima e dopo quel gesto rivoluzionario il morbo di Hansen, dal nome del medico norvegese che per primo isolò il batterio della temibile malattia, fu sempre sinonimo di maledizione e sciagura, fino a diventare proverbiale come il segno del male assoluto, al punto che i lebbrosari venivano considerati luoghi di morte, prima ancora che veri ospedali.
Così è accaduto fino ai tempi nostri: proprio ad uno degli ultimi lazzaretti europei si ispira il romanzo, originale e persasivo, di Ognjen Spahić, giovane scrittore montenegrino, intitolato I figli di Hansen, per l'appunto. Ambientato in Romania nel 1989, alla fine della dittatura di Ceauşescu, questo testo, come sottolinea Claudio Magris nella sua introduzione, si inserisce in una lunga e nobile tradizione che può andare da Tucidide a Boccaccio, da Manzoni a Camus.
In Spahić sembra assente qualsiasi possibilità di redenzione.
Gli undici reclusi del lebbrosario, abbandonati a se stessi nel momento cruciale della guerra civile fra i vecchi governanti e le nuove forze ribelli, lottano per sopravvivere e, nonostante la grave infermità da cui sono afflitti, non si danno per vinti. L'unico valore che sembra emergere è l'amicizia fra il protagonista narrante e Robert Duncan, un soldato americano di stanza in Germania che, dopo essersi ammalato, era stato trasferito in Romania.
I figli di Hansen è un libro cupo, tortuoso, a volte sgradevole, con
inserzioni storiche e documentarie: lancinante il ricordo di Zoltán, il
degente più anziano, sull'irruzione nazista nel lebbrosario, al tempo
della seconda guerra mondiale. I militari, armati di tutto punto,
scesero dai camion con l'intenzione di eliminare quelle vite inutili per
le quali nemmeno la camera a gas sarebbe stata necessaria.
L'opera,
che si conclude con la fuga a Vienna dei due amici, uno dei quali muore
mentre l'altro consuma i suoi ultimi giorni confinato in un cronicario
sul Mar Adriatico, evidenzia la matrice simbolica della malattia
contagiosa: il reietto, come sapeva Joseph Conrad, incarna anche quella
parte di noi stessi da cui volgiamo lo sguardo.
Ognjen Spahić,
I figli di Hansen,
Zandonai, pp. 167, euro 13,50
Eraldo Affinati