15/06/2013
Sergio Endrigo mentre si dedica alla pesca a Cuba. Nella foto di copertina; l'artista con sua moglie e sua figlia Claudia.
Papà. È la parola che
ricorre maggiormente nell'intervista, quasi a voler sottolineare
quel legame spirituale che la morte non ha saputo spezzare. Quel papà
è Sergio Endrigo, uno dei rappresentanti più raffinati di
quella canzone d'autore esplosa all'inizio degli anni Sessanta. E
lei è Claudia, la figlia che ne coltiva la memoria artistica
e intellettuale oltre a ricordarne con orgoglio l'eredità sotto
l’aspetto umano. Sergio Endrigo è nato a
Pola, in Istria il 15 giugno 1933. Oggi avrebbe 80 anni: per
l’occasione Claudia apre l’album di oltre quarant’anni di
carriera.
Quale furono i legami
di tuo padre con l'Istria, la sua terra di origine?
«Papà nacque nel 1933.
Durante la guerra e l'esodo era piccolo per cui visse il tutto con
la coscienza di un ragazzo. Al contrario mia nonna portava dentro di
sé le cicatrici dell'epopea del popolo istriano e delle violenze
subite da Tito. La nonna non ne parlava mai, ma s' capiva che in cuor
suo ne soffriva. Naturalmente anche nell'animo di mio padre
rimasero gli echi di quella tragedia, tanto è vero che sul tema
scrisse una canzone intitolata 1947».
Agli inizi della
carriera, negli anni Cinquanta, suona a Venezia nell’orchestra di
Riccardo Rauchi: quale furono i suoi riferimenti musicali?
«Fin da bambino, papà è
sempre stato molto curioso. Questo tratto del suo carattere lo
espresse sostanzialmente attraverso la musica. Lo influenzarono molto
i cantautori francesi come Charles Trenet o George Brassens, ma anche
lo swing americano fu fondamentale per la sua formazione».
1960: il contratto con
la Ricordi, la casa discografica che ha visto nascere Gino Paoli,
Luigi Tenco, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci. Quali erano i suoi rapporti con questi artisti? Si
frequentavano anche nella vita?
«Senza dubbio quel periodo
è stato straordinario e irripetibile. Tutti giovani ragazzi pieni di
idee, creatività, di voglia di cambiare la musica. Erano legati da
un'amicizia molto stretta, poi certo la vita porta ognuno per la
sua strada, ma tra di loro l'affetto e la stima non sono mai mancati».
1962, il grande
successo: Io che amo solo te. Era legato a questa canzone?
«Ha venduto 600.000 copie
in sole tre settimane, gli ha aperto le porte delle classifiche di
tutto il mondo. Insomma, gli ha cambiato la vita. A distanza di
cinquant'anni è ancora un evergreen. Penso alle cover che le
vengono tributate: da Morgan a Massimo Ranieri a Fiorella Mannoia».
Sergio Endrigo amava
la letteratura. E gli scrittori amavano Sergio Endrigo, vero?
«Lo ripeto, era ricco di
interessi. Ha iniziato a leggere molto piccolo e passava senza
problemi da Topolino ai classici della letteratura russa. Da
qui nasce anche il suo interesse per il rapporto tra musica e la
letteratura. Penso all'album La vita è l'arte
dell'incontro. In questo disco papà canta con Vinicius De
Moraes le poesie di questo cantautore brasiliano tradotte niente meno
che da Giuseppe Ungaretti che figura anche come voce recitante. A
proposito di questo disco non posso non ricordare l'apporto del
paroliere Sergio Bardotti, una figura importantissima per la carriera
artistica di papà. In questo lp alla chitarra suona anche un giovane
Toquiño».
Tuo padre musicò
anche un testo di Pier Paolo Pasolini.
«È una poesia dal titolo Il soldato Napoleone compresa nella raccolta La meglio
gioventù. Tra gli anni Sessanta e Settanta fu molto attratto
dalla poesia, musicò anche opere di poeti della beat generation che
non sono ancora mai state pubblicate in un disco.
Infine, le canzoni per
bambini che nascono dall’incontro con Gianni Rodari.
«Anche in questo caso ci
fu lo zampino di Sergio Bardotti. Sia a lui sia a papà non piacevano
le classiche canzoni dello Zecchino d'Oro. Negli anni Settanta
aveva interpretato diverse canzoni per bambini scritte con Vinicius
De Moraes. Con Gianni Rodari decise di
approfondire questo filone e sono nati classici come Ci vuole in
fiore. Tra l'altro nel coro di bambini che cantano nel disco ci
sono anche io.
Un'altra passione di
Sergio Endrigo: il Brasile e la sua musica.
«Nasce
negli anni Sessanta, quando divenne famoso in quel Paese anche per
aver cantato insieme a Roberto Carlos, con cui vinse il Festival di
Sanremo 1968 con Canzone per te. Lì cominciò ad ascoltare
ritmi come il samba e la bossa nova che in Italia non avevano molto
seguito. Naturalmente l'amicizia con Vinicius e Toquiño ha fatto il
resto. Vinicius ha scritto anche una canzone per mio padre, Samba
per Sergio Endrigo in onore del loro sodalizio umano oltre che
artistico. Colgo l'occasione per ricordare che mercoledì 22
giugno, all'Auditorium di Roma è organizzata una serata per i
cento anni della nascita di De Moraes in cui sarà ricordato anche
papà».
Un'ultima domanda:
l’immagine ci ha consegnato la figura di un artista segnato da una
vena di malinconia. Come figlia quali sono secondo te i tratti del
carattere di Sergio Endrigo – come uomo e come artista – che vale
la pena sottolineare.
«Papà amava gli amici, la
buona tavola e sapeva raccontare benissimo le barzellette. Certo, le
sue canzoni d'amore sono sempre venate da una note di malinconia.
Ma lui amava spesso ripetere una frase che per me è come un
testamento: “Non si muore per amore, si vive per amore”. E
se pensiamo ai fatti di cronaca di questi mesi, capiamo quanto siano
preziose queste parole».
Giorgio Trichilo