"Vi racconto papà Sergio Endrigo"

A 80 anni dalla nascita, la figlia Claudia offre un ritratto umano e artistico di questo maestro della canzone d’autore, scomparso nel 2005.

15/06/2013
Sergio Endrigo mentre si dedica alla pesca a Cuba. Nella foto di copertina; l'artista con sua moglie e sua figlia Claudia.
Sergio Endrigo mentre si dedica alla pesca a Cuba. Nella foto di copertina; l'artista con sua moglie e sua figlia Claudia.

Papà. È la parola che ricorre maggiormente nell'intervista, quasi a voler sottolineare quel legame spirituale che la morte non ha saputo spezzare. Quel papà è Sergio Endrigo, uno dei rappresentanti più raffinati di quella canzone d'autore esplosa all'inizio degli anni Sessanta. E lei è Claudia, la figlia che ne coltiva la memoria artistica e intellettuale oltre a ricordarne con orgoglio l'eredità sotto l’aspetto umano. Sergio Endrigo è nato a Pola, in Istria il 15 giugno 1933. Oggi avrebbe 80 anni: per l’occasione Claudia apre l’album di oltre quarant’anni di carriera.

Quale furono i legami di tuo padre con l'Istria, la sua terra di origine?

«Papà nacque nel 1933. Durante la guerra e l'esodo era piccolo per cui visse il tutto con la coscienza di un ragazzo. Al contrario mia nonna portava dentro di sé le cicatrici dell'epopea del popolo istriano e delle violenze subite da Tito. La nonna non ne parlava mai, ma s' capiva che in cuor suo ne soffriva. Naturalmente anche nell'animo di mio padre rimasero gli echi di quella tragedia, tanto è vero che sul tema scrisse una canzone intitolata 1947».


Agli inizi della carriera, negli anni Cinquanta, suona a Venezia nell’orchestra di Riccardo Rauchi: quale furono i suoi riferimenti musicali?

«Fin da bambino, papà è sempre stato molto curioso. Questo tratto del suo carattere lo espresse sostanzialmente attraverso la musica. Lo influenzarono molto i cantautori francesi come Charles Trenet o George Brassens, ma anche lo swing americano fu fondamentale per la sua formazione».


1960: il contratto con la Ricordi, la casa discografica che ha visto nascere Gino Paoli, Luigi Tenco, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci. Quali erano i suoi rapporti con questi artisti? Si frequentavano anche nella vita?

«Senza dubbio quel periodo è stato straordinario e irripetibile. Tutti giovani ragazzi pieni di idee, creatività, di voglia di cambiare la musica. Erano legati da un'amicizia molto stretta, poi certo la vita porta ognuno per la sua strada, ma tra di loro l'affetto e la stima non sono mai mancati».

1962, il grande successo: Io che amo solo te. Era legato a questa canzone?

«Ha venduto 600.000 copie in sole tre settimane, gli ha aperto le porte delle classifiche di tutto il mondo. Insomma, gli ha cambiato la vita. A distanza di cinquant'anni è ancora un evergreen. Penso alle cover che le vengono tributate: da Morgan a Massimo Ranieri a Fiorella Mannoia».

Sergio Endrigo amava la letteratura. E gli scrittori amavano Sergio Endrigo, vero?

«Lo ripeto, era ricco di interessi. Ha iniziato a leggere molto piccolo e passava senza problemi da Topolino ai classici della letteratura russa. Da qui nasce anche il suo interesse per il rapporto tra musica e la letteratura. Penso all'album La vita è l'arte dell'incontro. In questo disco papà canta con Vinicius De Moraes le poesie di questo cantautore brasiliano tradotte niente meno che da Giuseppe Ungaretti che figura anche come voce recitante. A proposito di questo disco non posso non ricordare l'apporto del paroliere Sergio Bardotti, una figura importantissima per la carriera artistica di papà. In questo lp alla chitarra suona anche un giovane Toquiño».

Tuo padre musicò anche un testo di Pier Paolo Pasolini.

«È una poesia dal titolo Il soldato Napoleone compresa nella raccolta La meglio gioventù. Tra gli anni Sessanta e Settanta fu molto attratto dalla poesia, musicò anche opere di poeti della beat generation che non sono ancora mai state pubblicate in un disco.

Infine, le canzoni per bambini che nascono dall’incontro con Gianni Rodari.

«Anche in questo caso ci fu lo zampino di Sergio Bardotti. Sia a lui sia a papà non piacevano le classiche canzoni dello Zecchino d'Oro. Negli anni Settanta aveva interpretato diverse canzoni per bambini scritte con Vinicius De Moraes. Con Gianni Rodari decise di approfondire questo filone e sono nati classici come Ci vuole in fiore. Tra l'altro nel coro di bambini che cantano nel disco ci sono anche io.

Un'altra passione di Sergio Endrigo: il Brasile e la sua musica.

«Nasce negli anni Sessanta, quando divenne famoso in quel Paese anche per aver cantato insieme a Roberto Carlos, con cui vinse il Festival di Sanremo 1968 con Canzone per te. Lì cominciò ad ascoltare ritmi come il samba e la bossa nova che in Italia non avevano molto seguito. Naturalmente l'amicizia con Vinicius e Toquiño ha fatto il resto. Vinicius ha scritto anche una canzone per mio padre, Samba per Sergio Endrigo in onore del loro sodalizio umano oltre che artistico. Colgo l'occasione per ricordare che mercoledì 22 giugno, all'Auditorium di Roma è organizzata una serata per i cento anni della nascita di De Moraes in cui sarà ricordato anche papà».


Un'ultima domanda: l’immagine ci ha consegnato la figura di un artista segnato da una vena di malinconia. Come figlia quali sono secondo te i tratti del carattere di Sergio Endrigo – come uomo e come artista – che vale la pena sottolineare.

«Papà amava gli amici, la buona tavola e sapeva raccontare benissimo le barzellette. Certo, le sue canzoni d'amore sono sempre venate da una note di malinconia. Ma lui amava spesso ripetere una frase che per me è come un testamento: “Non si muore per amore, si vive per amore”. E se pensiamo ai fatti di cronaca di questi mesi, capiamo quanto siano preziose queste parole».

Giorgio Trichilo
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