19/12/2012
Il ministro dell'Istruzione, ricerca e università Profumo (Ansa).
Spesso l'azione del ministro dell'Istruzione, università e ricerca Profumo non è stata convincente, ad esempio quando ha parlato dell'introduzione delle lavagne elettroniche o dei tablet nelle classi come di un'innovazione straordinaria, quasi la panacea dei mali della scuola; o come quando ha consentito che il famigerato concorsone per i professori delle scuole medie e secondarie attuasse la prima fondamentale selezione in base a criteri non certo di competenza della materia che avrebbero poi insegnato, bensì ad abilità "enigmistiche". Non è seguendo questa strada che si può sperare di rinnovare il sistema formativo italiano. Sarebbe stato interessante sentire le sue idee sulla formazione degli insegnanti, sulla composizione delle classi, sul rapporto docenti-alunni, sulle strutture e, certo, anche le tecnologie disponibili, sui programmi, sugli investimenti...
Questa volta, però, il ministro Profumo merita un plauso, per la chiarezza e nettezza con cui ha dichiarato che gli ennesimi tagli alle università italiane avrebbero l'effetto di portarle, in gran parte, al fallimento, cioè alla chiusura. Il fatto, denunciato dal ministro, è questo: la Commissione Bilancio, che sta scrivendo il cosiddetto decreto di stabilità, ha stanziato solo 100 dei 400 milioni di euro necessari per il «funzionamento e le tenuta complessiva del sistema universitario italiano». Un taglio pesante, di 300 milioni di euro, tre quarti delle risorse indispensabili nemmeno per investimenti o innovazioni, quanto per il semplice funzionamento delle università, la spesa corrente.
Conclusione: se venisse confermato il taglio, «più della metà degli atenei andranno in default», cioè chiuderanno le porte, falliranno. «L'Università italiana è un patrimonio di tutti i cittadini e un'assicurazione per un futuro più sereno e prospero per l'Italia», ha conluso Profumo.
Studenti dimostrano contro i tagli all'istruzione (Ansa).
A chiarire ancora meglio qual è la posta in gioco ha contribuito una nota congiunta della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), il
Consiglio universitario
nazionale (Cun) e il Consiglio nazionale degli studenti universitari: «Il
taglio al Fondo di finanziamento ordinario per l'anno 2013 provocherà una
situazione di crisi gravissima e irreversibile per il sistema universitario
italiano», violando «i diritti irrinunciabili e costituzionalmente garantiti
della formazione e della ricerca a solo detrimento del futuro e delle
opportunità lavorative delle prossime generazioni».
Resta poco da aggiungere: colpire l'istruzione, ad ogni livello, significa impoverire un Paese, ipotecare in negativo il futuro, negare opportunità alle giovani generazioni, già alle prese con tassi di disoccupazione mai visti; colpire l'università, in particolare, significa bloccare l'innovazione, la ricerca, lo sviluppo, la formazione di eccellenze e di un sapere da cui trae beneficio la collettività.
Un altro dato va ricordato, invece, e riguarda il preoccupante calo di iscritti all'università: il declino iniziato nel 2004-2005 non si arresta, tanto che nel 2010-2011 il numero di immatricolazioni è tornato indietro di dieci anni, a un livello inferiore a quello rilevato alla fine degli anni Novanta, prima della riforma del 3+2 (Istat). Nemmeno i giovani credono più nell'istruzione e nella formazione: c'è da sorprendersi se la politica si rivela priva di qualsiasi visione strategica e si "fa viva" solo per tagliare i fondi?
Paolo Perazzolo