19/05/2013
La cantante Rokia Traoré durante un concerto.
A metà luglio Rokia Traoré sarà in Italia per due date, il 14 a Roma e il 15 a Milano. La Billie Holliday del Mali presenterà il suo nuovo album, Beautiful Africa, che viene pubblicato in un momento molto particolare della vita del Mali: sconvolto da una guerra civile, il Paese sta vivendo l'incubo di un dominio islamico intransigente soprattutto nei confronti dell'arte e della musica, ritenuta blasfema e vietata in più luoghi dello Stato. Un peccato, se si pensa che le radici di molta musica afroamericana derivino proprio dalla terra dove Rokia nacque 39 anni fa.
- Grazie al lavoro di suo padre, durante la sua vita ha viaggiato molto visitando tutto il mondo. Ora vive in Francia, ma qual è il posto che considera casa?
«Sicuramente il Mali, la mia terra, la città dove sono nata, Bamako. Ma in realtà c'è un altro luogo nel quale mi sento a casa, la città di Amiens nel Nord della Francia, dove vivo e dove nel 1997 ho registrato il mio primo album».
- Ciò che rende unica la sua musica è il suo essere in bilico tra due culture molto diverse, quella occidentale e quella africana. Come avviene questo incontro?
«La mia ricerca è qualcosa che non ha niente di razionale, niente di prestabilito o studiato a tavolino. È pura sensibilità. Quando suono mi abbandono alle mie radici maliane. Dalla mia personalità però escono fuori in quel momento tutte le mie esperienze avute intorno al mondo e allora qualcosa di meraviglioso accade dentro di me: la cultura occidentale s'incontra e si fonde con la cultura africana, con le mie radici e quando succede mi sento priva di coscienza, sento di non avere alcuna alternativa. Posso solo abbandonarmi e suonare».
- Lo scorso anno ha partecipato all'Africa Express, un festival itinerante di grandi musicisti europei e africani nel Regno Unito. Cosa le ha lasciato questa esperienza?
«Viaggiavamo in treno facendo le regolari fermate attraverso il Regno Unito, da Londra a Glasgow, insieme a più di ottanta artisti straordinari che appartengono a culture profondamente diverse. In pratica significa non uscire mai dallo spettacolo. È un'esperienza di musica continua perché anche quando il treno si fermava in una stazione qualsiasi, qualcuno scendeva e iniziava a suonare riunendo intorno a sé un numero di spettatori e curiosi che davano vita a un vero e proprio concerto improvvisato».
- In Samara, una canzone del suo ultimo album, parla delle donne del Mali con orgoglio. Quale può essere il modo migliore per affrontare la questione delle donne africane?
«Renderle consapevoli della loro importanza, liberarle da quella cultura maschilista in cui la donna fa tutto ciò che l'uomo le dice di fare, sia esso il padre, il marito o il fratello. In Mali questa è una guerra che le nostre madri hanno combattuto per noi ed è il loro orgoglio che canto in Samara, la loro volontà di continuare a combattere per i propri diritti, perché la consapevolezza è l'unico strumento per combattere una simile guerra».
- Ultimamente in Mali è stato compiuto un colpo di Stato da parte degli integralisti islamici del Paese. La spaventa il loro comportamento nei riguardi dell'arte, la loro censura nei confronti della musica?
«Ho fiducia nella popolazione maliana. Sarà sempre in grado di combattere qualsiasi tipo di estremismo se resta unita a difendere le proprie antiche tradizioni, le proprie radici. Gli integralismi hanno dimostrato il loro atteggiamento ostile contro l'arte, come succede in Iran per esempio, ma non ho paura per la musica del mio Paese perché è una parte fondamentale delle radici del Mali».
Qui sotto il video di Mélancholie di Rokia Traoré, dal suo ultimo disco Beautiful Africa.
Federico Scoppio