Americani, basta pizza!

Nei film di Hollywood abbonda un'immagine stereotipata dell'Italia. Infuria una giusta polemica. Ma non sarà almeno in parte anche colpa nostra?

30/09/2010
La regista Sofia Coppola.
La regista Sofia Coppola.

La polemica è bollente. Appena sfornata, è il caso di dire. A firmarla è uno tra gli chef più quotati: quel Beppe Severgnini che, in virtù della sua profonda conoscenza (per lunga frequentazione) della realtà americana, sa come pochi cogliere gli umori che attecchiscono oltreoceano. Occasione è l’uscita nei cinema di Mangia, prega, ama pellicola (invero assai bruttina) di Ryan Murphy con la diva dalla bocca larga Julia Roberts. Fonte d’ispirazione, l’omonimo vendutissimo romanzo di Elisabeth Gilbert.      

     “Non si tratta di un film, è l’Onu delle banalità”, scrive Severgnini sulle colonne del Corriere della Sera. “L’Italia ne esce come lo scantinato d’Europa: le vecchiette sono eccentriche, gli uomini assatanati, i passanti volgari e tutti parlano solo di cosa stanno mangiando, hanno mangiato o mangeranno. Certo, questo non dispiace alla visitatrice americana. Se uno va nella giungla, mica si lamenta per le scimmie…”.       

     Sacrosanto. Ciuffo bianco Severgnini ha colto nel segno. A vedere certe recenti pellicole made in Usa, c’è da concludere che il Belpaese sia rimasto fermo alla classica iconografia: pizza, spaghetti, amore e mafia. Altri esempi? Lo strombazzato kolossal Il codice Da Vinci con un poco credibile Tom Hanks in lotta contro trame mefistofeliche sullo sfondo di un Vaticano da operetta. The American con il superbello George Clooney nei panni di un killer in fuga attraverso l'Abruzzo martoriato dal terremoto e salvato da una prostituta (Violante Placido) dal cuore d’oro. Analogo pregiudizio, Italia terra dai forti sentimenti, è alla base di Copia conforme dell’iraniano giramondo Abbas Kiarostami con la sempre fascinosa Juliette Binoche alla ricerca dell’amore coniugale perduto per le stradine di un borgo toscano. E quanto la Toscana (assieme a Venezia, vero Woody Allen?) sia il luogo del cuore per gli stranieri è stato riaffermato, qualche anno fa, da Under the Tuscan Sun: dove Diane Lane, moglie tradita e scornacchiata, poteva recuperare il senso della sua femminilità e la passione? Nel Chianti, naturalmente. E grazie al nostro Raoul Bova.   

     Insomma, siamo ormai lontani dal realismo narrativo, pur fortemente connotato di “italianità”, che aveva contribuito al successo di titoli celebri come Vacanze romane di William Wyler (ricordate Gregory Peck e Audrey Hepburn in giro per Roma sulla Vespa?), Il talento di Mr. Ripley di Anthony Mingella (con Matt Damon e Jude Law a duellare in Costiera Amalfitana) o perfino il delizioso cartone disneyano Lilly e il vagabondo. Ma siamo sicuri che sia soltanto colpa degli occhi foderati di prosciutto dell’americano medio? Non dipenderà soprattutto dai segnali fumosi e contraddittori che noi italiani mandiamo Oltreoceano?

    Basti pensare ai film che abbiamo spedito nell’ultimo quarto di secolo a cercare l’Oscar. Quelli che meglio raccontavano l’Italia contemporanea non sono neppure riusciti a entrare nella cinquina finalista. E parliamo di pellicole di qualità come Fuori dal mondo di Giuseppe Piccioni, I cento passi di Marco Tullio Giordana, La stanza del figlio di Nanni Moretti, Gomorra di Matteo Garrone. Sono invece riusciti a portarsi a casa l’ambita statuetta Giuseppe Tornatore con Nuovo Cinema Paradiso, Gabriele Salvatores con  Mediterraneo, Roberto Benigni con La vita è bella. Capolavori, per carità. Ma pur sempre ritratti di un Italia, arruffata e vitale, che non c’è più. Paese reale che invece emergeva da titoli come Pane e tulipani di Silvio Soldini, La giusta distanza di Carlo Mazzacurati o La nostra vita di Daniele Luchetti che, pur belli, non hanno avuto fortuna all’estero. Adesso, tocca a La prima cosa bella di Paolo Virzì provarci: affresco affettuoso ma forte di un’Italia vera. Scommettiamo che negli Usa non lo capiranno?        

     Discorso a parte merita Somewhere di Sofia Coppola, vincitrice del Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Una delle scene clou della discesa nel limbo della futilità dell’attore hollywoodiano Johnny Marco (Stephen Dorff) si svolge a Milano, nel corso della cerimonia tutta lustrini e scemenze per la consegna all’ospite americano del Telegatto. Cleo, figlia dodicenne della star, guarda stupita la caciara e poi se ne scappa all’aeroporto col papà. Beh, come dar loro torto? E’ proprio questa l’Italia che troppo spesso mostriamo a chi viene d’Oltreoceano. Tutta superficialità, squittii e scodinzolamenti da parte di belle fanciulle in abiti inguinali. Siamo proprio così? Forse no. Forse non tutti. Ma il dubbio viene rimirando la massa vociante di procaci ragazze e imberbi bellimbusti che si accalca fuori delle selezioni dei tanti reality televisivi. Che l’Italia migliore sia quella che non si vede in Tv o sui giornali? Difficile farlo capire a chi ci guarda da fuori. Specie se a rappresentarci oltre confine va un Presidente del Consiglio che fa le corna mentre scattano la foto ufficiale di un summit o gioca a nascondino con la premier tedesca Angela Merkel.                                                                        

Maurizio Turrioni
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