Caruso in tv perde la voce

Lo sceneggiato televisivo sul grande tenore napoletano trasmesso dalla Rai ha avuto un difetto di fondo: l'aver ignorato la voce originale del personaggio.

27/09/2012
Gianluca Terranova è Enrico Caruso nello sceneggiato Rai.
Gianluca Terranova è Enrico Caruso nello sceneggiato Rai.

La politica degli sceneggiati televisivi promossa dalla Rai non poteva ignorare Enrico Caruso. Puntuale è giunto quindi La voce dell’amore, liberamente (a volte arbitrariamente) ispirato alle vicende del grande tenore napoletano e trasmesso in due puntate (23 e 24 settembre). Per valutarne compiutamente l’esito bisogna considerare che il regista Stefano Reali ha voluto fare non «film-opera destinato solo agli appassionati, ma la storia di un grande artista con una vita complicata». Intento, a mio giudizio, solo parzialmente raggiunto.

Mi è sembrato infatti un grave errore ignorare quasi del tutto la voce “unica” di Caruso, venendo così meno la ragione stessa della sua grandezza e del suo mito, qui sostituito dall’accattivante presenza del tenore romano Gianluca Terranova, rivelatosi attore persuasivo almeno quanto discutibile appare il suo modo di cantare. Discutibile è apparsa anche l’enfatizzazione di Ada Giachetti (un’eccellente Vanessa Incontrada, più bella dell’originale), che non era affatto una diva: nel 1897, anno del colpo di fulmine con Enrico, esistevano almeno una mezza dozzina di soprani più aureolati di lei, fra i quali non da sottovalutare la sorella Rina (una convincente Martina Stella, innamorata parzialmente corrisposta di Enrico). Reali ha insistito sulla pretesa colleganza artistica di Enrico e Ada, quando in realtà le apparizioni della coppia non furono che otto.

Martina Stella è la cognata Rina di Caruso.
Martina Stella è la cognata Rina di Caruso.

Non pochi i momenti decisivi della vicenda di Caruso presenti nello sceneggiato: gli inizi con Guglielmo Vergine, il maestro di canto che instilla dubbi, mai cancellati, sull’identità vocale del giovanotto (baritono o tenore?); nel 1897 l’incontro con Puccini, che subito coglie la novità del canto carusiano; il tempestoso scontro con Toscanini alla Scala; il tumultuoso esordio al San Carlo nel 1901, in un Elisir d’amore contestato dal pubblico; l’acquisto della splendida villa di Bellosguardo di Lastra a Signa (oggi sede del Museo Caruso costruito dall’infaticabile Luciano Pituello); l’abbandono da parte di Ada, invaghitasi dell’aitante chauffeur; nel 1909 l’intervento chirurgico per asportare i noduli alla laringe; il processo intentato da Ada a Enrico nel 1912 per estorcergli denaro; nel 1918 il matrimonio (l’unico contratto da Caruso) con la giovane Dorothy Benjamin (con grande disappunto del suocero, contrario alle nozze per «le differenze di età, nazionalità e temperamento»); la morte drammatica , il 2 (e non il 3) agosto 1921.

Allo stesso tempo, però, varie e importanti lacune, soprattutto nella seconda puntata, non permettono di mettere compiutamente a fuoco la nascita del mito di Caruso, essenzialmente americano, poi esportato, ma mai del tutto assimilato in Italia. La voce dell’amore resta tuttavia un lavoro gradevole e formalmente accurato, che alla fine è riuscito a dimostrare, come ebbe a scrivere Luciano Pavarotti, che «un tenore, un cantante, è e resta un essere di carne ed ossa, e non un computer che spara note».

Giorgio Gualerzi
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