09/09/2010
Silvio Orlando in "La Passione" alla Mostra di Venezia.
C’è chi dice che sia troppo americana e
chi, invece, ne denuncia la deriva autarchica.
Fino al momento del galà di
inaugurazione, la 67ª Mostra del cinema di
Venezia (1-11 settembre) ha come al solito
scontentato un po’ tutti. Eppure, il direttore
Marco Müller è uno che di cinema ne capisce,
avendo ricoperto ogni ruolo, regìa a parte,
dentro e fuori dal set. Se questa è la settima
volta che governa la kermesse del Lido,
vuol dire che gira gira ha sempre ragione lui.
Dei 23 film in corsa per il Leone d’oro, ben
sei battono bandiera a stelle e strisce. Oltre a
Somewhere di Sofia Coppola, è atteso con curiosità
il film di apertura Black swan di Darren
Aronofsky (già premiato a Venezia per The wrestler).
Poi ci sono il sulfureo Vincent Gallo con
Promises written in water, la regista Kelly Reichardt
con l’epopea al femminile Meek’s Cutoff,
il redivivo Monte Hellman con Road to
nowhere e il geniale Julian Schnabel con Miral.
Dato che presidente di giuria è l’imprevedibile
Quentin Tarantino e che tra le star
attese al Lido spiccano Natalie Portman,
Willem Dafoe, Dustin Hoffman (per La versione
di Barney, film di bandiera canadese) e Ben
Affleck (per The Town, fuori concorso) ecco che
quello in Laguna sembra uno sbarco Usa.
A contrastare l’invasione un manipolo di
pellicole italiane. Primo a scendere in campo
e vera sorpresa è Ascanio Celestini con La pecora
nera, storia sulla follia della contenzione
più che sulla contenzione della follia. Poi
il promettente Saverio Costanzo con La solitudine
dei numeri primi. Il film più lungo dell’intera
rassegna (204 minuti) è Noi credevamo
di Mario Martone, epopea risorgimentale
con nomi di spicco come Luigi Lo Cascio,
Toni Servillo, Luca Zingaretti e Anna
Bonaiuto. Bello anche il cast di Carlo Mazzacurati
per La passione: Silvio Orlando, Stefania
Sandrelli, Giuseppe Battiston, Kasia
Smutniak. A far dire però che quest’anno a
Venezia c’è forse troppa Italia sono gli altri
37 titoli sparpagliati nelle varie sezioni, pur
se qualcuno di gran richiamo come il Vallanzasca
di Michele Placido.
Magari, alla fine vincerà uno dei tre film
francesi (il più indiziato? Potiche di François
Ozon) oppure uno dei due giapponesi (puntiamo
su 13 assassini di Takashi Miike) o il
solito asiatico semisconosciuto. E tanti saluti
alle dotte previsioni dei critici e alle polemiche.
L’unico certo di portarsi a casa la statuetta,
perché Leone d’oro alla carriera, è il
sino-americano John Woo, maestro di film
d’azione come Face/Off e Windtalkers. Sperando
che almeno lui agiti un bel po’ le acque
della Laguna.
Maurizio Turrioni