24/02/2013
Carlo Cracco ospite a Sanremo (Ansa).
È senza dubbio uno dei personaggi del momento ma non arriva da Hollywood. Non ha ma hai fatto cinema, né teatro. Il suo mondo, fino a poco tempo fa, era le cucine dei ristoranti più quotati e stellati. Poi è arrivato in Italia Masterchef, il cooking talent rivelazione di Sky e le porte della tv si sono spalancate a Carlo Cracco che, in pochissimo tempo, è diventato una star. Condivide questa inaspettata popolarità con Bruno Barbieri e Joe Bastianich, gli altri due inflessibili giudici di Masterchef che si è concluso qualche giorno fa.
Tutti e tre i giudici-chef sono amati ed apprezzati dai telespettatori, ma Cracco piace particolarmente al pubblico femminile. Dalla televisione alle copertine dei giornali il passo è breve e così è arrivata anche la chiamata a Sanremo in qualità di Presenters dove è sceso dalle scale dell’Ariston con una disinvoltura da ospite internazionale e navigato. Carlo mantiene il sangue freddo perché la sua è stata una lunga e faticosa gavetta che l’ha temprato per ogni occasione. Dopo aver frequentato I’Istituto alberghiero di Recoaro Terme, comincia a lavorare sotto la guida di Gualtiero Marchesi a Milano, di Alain Ducasse e Alain Sanderens in Francia. Finalmente, nel 2001 apre un suo ristorante nel capoluogo lombardo. Le sue creazioni tipiche sono l’uovo marinato, l’insalata russa caramellata, melanzane ai fiori di Sambuco con gamberi e riso con le lenticchie.
Cosa c’è dietro l’ispirazione di un grande chef?
«Esperienza, passione, applicazione, cura per quello che si fa.
L’ispirazione è un percorso che arriva dopo anni e anni di lavoro perché
il mestiere dello chef è una continua prova quotidiana. Tutti i giorni
un cuoco ha a che fare con piatti nuovi, materie prime da trovare e
clienti diversi da accontentare».
Non ha citato il talento. Non è un ingrediente fondamentale per
diventare un grande chef?
«Tutti parlano di talento ma impropriamente, secondo me. In questo tipo
di professione il talento si misura dalla durata di un ristorante.
Quante volte ho sentito dire:”Quel ragazzo ha talento…”. Ma quanti sono
spariti in poco tempo. Insomma, si ha talento quando parlano di te bene e
per tanti anni».
Cosa non deve dimenticare chi vuole diventare un grande chef?
«Di avere molta umiltà. Non si deve cadere nell’errore di aver già
imparato tutto, perché hai partecipato a MasterChef o perchè hai avuto la
fortuna di lavorare un paio di mesi nella cucina di un grande
ristorante. Questo è un lavoro difficile che ti può dare grandissime
soddisfazioni, ma bisogna saperlo farlo bene. Non si può improvvisare.
Occorre costanza».
Cracco al programma "Masterchef" (Ansa).
Sono i dettagli in cucina che fanno la differenza?
«Certo, ma prima bisogna avere le basi e solo dopo si può eseguire una
ricetta alla perfezione».
La sicurezza che ostenta in tv arriva dalla gavetta?
«Trenta anni di gavetta non sono pochi! E, in tutto questo periodo, ho
cercato di migliorare, giorno dopo giorno. Quando parli della materia
che tratti da una vita, è ovvio che sai cosa devi dire e cosa comunicare
per farti capire».
In tv ci sono molti programmi dedicati alla cucina, ma non tutti sono
condotti da veri chef. Cosa ne pensa?
«Ho notato che sono quasi tutte donne. Non appartengono all’alta
gastronomia, non sono veri chef, ma sono brave. Clerici, Parodi, Moroni sono
ottime professioniste ma si rivolgono, prevalentemente, ad un pubblico
femminile. MasterChef, invece, è un programma per tutti. Abbiamo
scoperto, con grande sorpresa, che piace all’intera famiglia, bambini
compresi. Sono tantissimi i ragazzi che ci seguono e che poi dicono
alle loro mamme che non sanno impiattare. Ah, Ah. Al giorno d’oggi è
praticamente impossibile accontentare tutti e noi ci siamo riusciti. Che
soddisfazione…».
Perché la cucina in tv ha avuto così tanto successo, secondo lei?
«Mi sarei stupito del contrario. In Italia c’è una ricca tradizione
enogastronomica. In tutti noi è insita la cultura del mangiare bene.
Penso di poter dire che MasterChef abbia consacrato definitivamente la
cucina sul piccolo schermo».
Perché annusa sempre i piatti dei concorrenti a MasterChef?
«Per me, è normale farlo. Per ogni piatto bisogna usare prima gli occhi,
poi il naso e la bocca. Un piatto lo vedi, lo annusi e se il profumo è
cattivo non lo assaggi. Un piatto presentato bene, invece, trasmette
emozioni, sensazioni e viene voglia di mangiarlo. Annusando capisco se
il cibo corrisponde all’idea che il concorrente vuole dare del piatto».
La popolarità di questi ultimi tempi le è servita a migliorare il
successo del suo ristorante?
«Serve a far durare più a lungo quello già sto facendo. Bisogna
migliorare, indipendentemente, dalla popolarità che porta la tv. Quello
che conta, per me, è riuscire a parlare a un pubblico diverso da quello
che, di solito, frequenta i ristoranti stellati. Noi siamo sempre stati
considerati un po’ snob ma i tempi sono cambiati. Proprio ieri sera
avevo tre ragazzine che sono venute da me a festeggiare il 18esimo
compleanno».
Uno chef è anche un imprenditore?
«Se vuole mantenere la sua autonomia, per forza. Il mestiere del cuoco
non si esaurisce con il saper cucinare. Far bene da mangiare bene
rappresenta solo il 70 per cento del successo di uno chef. Il restante 30 per cento
comporta saper comperare la materia prima, comunicare con i clienti,
gestire il personale. La gestione dei collaboratori è una parte
importante e difficile. Devi essere un capo, un leader in maniera forte
ma positiva».
È sempre stato abbastanza schivo, avrebbe mai immaginato di scendere
la famosa scalinata di Sanremo? Cosa ha provato?
«Una grandissima emozione e altrettanta soddisfazione per tutto ciò che
di buono ho fatto fin qui».
Era molto elegante e ben pettinato…
«Lo confesso, ho fatto tutto da solo».
Che cosa ruberebbe a George Clooney?
«Credo che ruberebbe molto di più lui a me».
E a Bastianich e Barbieri?
«Siamo tre persone completamente diverse. Joe è americano e di mestiere
fa l’imprenditore. Ha circa trenta ristoranti in giro per il mondo e
presenta anche i MasterChef degli altri paesi. Bruno è un single
convinto e vorrebbe che la tv diventasse la sua prima professione».
Tutti e tre implacabili giudici, comunque…
«No, non siamo cattivi. Siamo severi. I concorrenti devono capire che
non è un gioco quello che stanno facendo. Li “bastoniamo” per far capire
loro che la professione che vogliono intraprendere non è tutta rose e
fiori».
Da chi andrebbe a cena?
«-Citarne uno significherebbe fare un torto ad almeno altri dieci. Un
nome lo faccio, però. Paolo Lo Priore. Al momento, non ha un ristorante
tutto suo ma lo stimo tantissimo e gli sono affezionato».
E, invece, con chi vorrebbe andare a cena?
«Con Rosa, la mia compagna»
A casa chi cucina?
«Io, naturalmente…».
Cosa significa eliminare un concorrente che spera, tramite voi, di dare
una svolta alla sua vita?
«La parola “eliminare” non mi piace. Noi diciamo “togliti il grembiule”.
È un modo per far capire ai concorrenti fino a dove sono riusciti ad
arrivare, a gestire lo stress e la tensione che si respira nelle cucine
dei grandi ristoranti. È inutile vendere false illusioni. E comunque
tutti i 18 concorrenti sono bravi. Sono 18 su 7.800 che hanno partecipato
alle selezioni, non dimentichiamolo».
Che cosa le lascia MasterChef?
«La piacevole sensazione di aver condotto un programma che piace a
tutti».
Prossimo obiettivo?
«Non certo aprire un ristorante low cost come ha scritto qualcuno. Ho un
paio di progetti ma non posso anticipare nulla. Per quanto riguarda la
tv continuerò a farla finché mi divertirò e avrò qualcosa da dire».
Ha tre figli, due femminucce e un maschietto. Se i suoi figli
volessero intraprendere la sua professione, sarebbe contento?
«Sarei contento, ma non è obbligatorio e poi ho una mia teoria al
riguardo»
Si può sapere?
«Certo. Spesso e volentieri si salta una generazione. Quando un padre
riesce in qualche cosa per un figlio è difficile superarlo. Più facile
che si riprenda la tradizione alla terza generazione».
Il consiglio di Carlo Cracco?
«Non buttare mai niente di quello che si compra e avere sempre rispetto
del prodotto».
Monica Sala