09/07/2012
La locandina del film "I giorni della vendemmia ", opera prima del giovane regista reggiano Marco Righi (foto ANSA).
È stato girato in due settimane nella campagna reggiana da un troupe di quasi trentenni. Davanti alla telecamera 10 attori tra cui la nonna del regista, Elide e i suoi 85 anni. Il 24 febbraio scorso il debutto nelle sale con tre copie proiettate a Reggio Emilia, Modena e Parma. Eppure I giorni della vendemmia, primo lungometraggio di Marco Righi che racconta l'educazione sentimentale di un adolescente emiliano negli anni Ottanta, è stato visto in 22 festival di mezzo mondo ed è tornato a casa con otto riconoscimenti. Oltre al bollino di film di interesse culturale nazionale ottenuto dal ministero dei Beni culturali.
Storia di una piccola favola del cinema made in Italy che in pochi mesi è diventato un film rivelazione che sta girando i cinema italiani dal Nord al Sud.
Un sogno che si avverra per il regista: Righi ha 29 anni, passati in gran parte a Reggio Emilia, un diploma da perito meccanico e la passione per il cinema. Per coltivarla ha fatto un corso di regia e uno di montaggio e firmato due corti e un documentario, prima di fare il grande salto.
- Come è nata quest'avventura?
"Principalmente dall'incontro con la produttrice Simona Malagoli. Io avevo scritto il soggetto e quando gliel'ho proposto, le è piaciuto e ci siamo detti perché non proviamo a farne un film. In fondo io sapevo cosa volevo girare e conoscevo i tecnicismi".
- Nel film tua nonna è Maria, poche battute recitate in dialetto reggiano. Come l'hai convinta?
"Gliel'ho chiesto e lei non mi ha detto di no. Del resto per noi era difficile trovare un'attrice anziana che fosse disponibile. E a me ha fatto piacere avere sul set una persona di famiglia che dà naturalezza alla storia".
- Quanto è costato il film?
"L'equivalente di uno spot di 30 secondi che va in onda sulle reti nazionali".
- Il paragone rende bene l'idea del low cost!
"A ridurre le spese ha contribuito il fatto di girare in digitale, e non su pellicola".
- Quindi fatto tutto in casa e senza finanziamenti pubblici?
"Sì, niente aiuti. All'inizio non li abbiamo chiesti perché siamo partiti in modo un po' naif e non sapevamo come muoverci. Poi abbiamo scritto al Ministero e dopo otto mesi, a dicembre 2011, ci hanno convocato. La Commissione però non ha accolto la richiesta".
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Quali sono state le difficoltà maggiori?
"Beh, la distribuzione è uno degli scogli principali nel cinema italiano di oggi: spesso un film arriva nelle sale seguendo logiche commerciali più che “artistiche”. Noi partivamo già deboli (esordio regia e produzione, attori non professionisti, storia apparentemente molto locale) e abbiamo incontrato un distributore a cui il film è piaciuto ma che ci ha proposto di cominciare con 3 copie, solo in Emilia".
- Anche per questo vi siete buttati sul web e in particolare su Facebook?
"In effetti abbiamo usato i social network per far conoscere il film, per raccontarlo prima che uscisse, e ha funzionato: alla prima proiezione avevamo già 7 mila fan su Facebook. Adesso 12 mila. E via web ci ha contattato un cinema d'essai di Catania dove il film è rimasto un mese. Altro che difficoltà col dialetto emiliano!".
- Decisivi sono stati i festival: insomma, apprezzati prima dalla critica e all'estero?
"Siamo stati fortunati ma spesso è bastato spedire il dvd. Non ci saremmo mai aspettati di arrivare al 42° Nashville Film festival, in Uruguay o al festival del Mediterraneo di Montpellier che fa 80 mila spettatori l'anno. Al Milano International Film Award ci hanno premiato per la miglior cinematografia 2011 e a Stresa per il miglior film indipendente".
- Morale della favola: i sogni si avverano anche per i giovani italiani?
"Sì, è così. Ma resto convinto che tante difficoltà non dovrebbero esserci".
Patrizia D'Alessandro