Guerra in Siria, la parola agli artisti

Il Festival del cinema africano, d'Asia e America latina, a Milano, torna a riflettere sul mondo arabo. Quest'anno con uno sguardo particolare sul Paese ancora martoriato dal conflitto.

07/05/2013
"Syrian Museum-Leonardo da Vinci's Mona Lisa" Di Tammam Azzam. Nella foto di copertina: una scena del film "Beautées cachées" di Nouri Bouzid.
"Syrian Museum-Leonardo da Vinci's Mona Lisa" Di Tammam Azzam. Nella foto di copertina: una scena del film "Beautées cachées" di Nouri Bouzid.

Uno sguardo attento, intenso, disincantato sui fermenti del mondo arabo, sui movimenti di ribellione, le istanze di rinnovamento e di libertà, le aspirazioni delle nuove generazioni diventate protagoniste delle cosiddette primavere arabe.  Anche quest'anno il Festival del cinema africano, d'Asia e America latina, in corso a Milano fino al 10 maggio, continua a rappresentare una preziosa occasione di lettura, riflessione, interpretazione critica degli eventi che hanno rivoluzionato - e stanno rivoluzionando - buona parte dei Paesi arabi, dalla Tunisia all'Egitto, fino alla martoriata Siria, ancora imprigionata nella spirale di una guerra sanguinosa alla quale non si riesce a imporre la parola fine.

La 23esima edizione della rassegna, l'unica in Italia dedicata interamente alla cinematografia e alla cultura dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina, ripropone una retrospettiva sulle produzioni dei Paesi arabi, "Mondo arabo Atto III", con un cambiamento prospettico rispetto agli anni precedenti: se, infatti, due anni fa, poco dopo lo scoppio delle rivoluzioni, sulla scia dell'emozione degli eventi, i film e i documentari arabi riflettevano l'entusiasmo e la concitazione di chi era ancora immerso in quei fatti, quest'anno la visione dei registi e documentaristi si è evoluta: come osserva il critico cinematografico Tahar Chikhaoui, i cineasti hanno riconquistato quella distanza dalla materia, quell'equilibro e quello spirito critico necessari una volta che la fase iniziale della rivoluzione di piazza si è esaurita e si passa a quella della costruzione politica e sociale.

E' il caso, ad esempio, del film Crop (Il raccolto), nel quale l'egiziano Marouan Omara e la tedesca Johanna Domke analizzano la rappresentazione dei leader politici egiziani in una prospettiva storica, girando all'interno della redazione di Al Ahram, il principale quotidiano d'Egitto. Un distanziamento critico dagli avvenimento è anche quello scelto da Nouri Bouzid, celebre regista tunisino (uno dei fondatori dells scuola di cinema in Tunisia, Edac, dove insegna), che nel suo Beautés cachées (Bellezze nascoste) racconta la voglia di cambiamento e la lotta, in maniera diversa, contro le imposizioni maschili di due ragazze tunisine, due amiche, Zeinab e Aicha. 

"Memories from Aleppo" di Kevork Mourad.
"Memories from Aleppo" di Kevork Mourad.

Molto diverso è, invece, lo sguardo dei registi siriani che leggono attraverso le immagini la complessa realtà di un Paese ancora immerso nella rivoluzione, a volte correndo loro stessi dei rischi. Emblematico è il caso di Nidal Hassan, regista indipendente siriano: mentre girava il documentario True story of love, life, death and sometimes revolution (Una storia vera di amore, vita, morte e qualche volta rivoluzione), presentato al Festival minalese, è stato arrestato due volte. A causa del suo sostegno alla rivolta è stato cacciato, insieme ad altri registi, dall'Organizzazione nazionale del cinema siriano. Differente è la lettura di Meyar Al Roumi: nato a Damasco, dopo l'università si è trasferito in Francia dove ha compiuto studi di cinema e tuttora vive a Parigi. Il suo Round trip racconta il lungo viaggio in treno da Damasco a Teheran di una giovane coppia siriana.

Quest'anno la rassegna del cinema africano dedica un'attenzione particolare alla realtà culturale della Siria: la mostra Creative Syria, esposta al Festival center fino al 10 maggio e curata da Donatella della Ratta, offre un'interessante panoramica sulla capacità dei giovani artisti di questo Paese di esprimere sé stessi e la loro voglia di libertà e di giustizia, ma anche la loro disillusione e frustrazione. Come Hamid Suleiman, illustratore e pittore, arrestato varie volte in Siria per aver partecipato alle manifestazioni e oggi esiliato a Parigi dove sta scrivendo la prima graphic novel sulla rivoluzione siriana. Come Tammam Azzam, artista druso, che attualmente vive a Dubai. Nella sua serie di dipinti Syrian museum colloca celebri opere di artisti occidentali, come la Gioconda di Leonardo, nel contesto delle macerie siriane. «Il mio tentativo è di portare all'attenzione un tema», spiega Azzam, «perché la comunià internazionale si preoccupa tanto di preservare queste opere famose e non si preoccupa della tragedia della gente siriana?». E aggiunge: «In Siria le persone non si aspettano più niente. Semplicemente aspettano». E, poi, Kevork Mourad, che fa parte della minoranza armena ed è originario di Aleppo, città che ha lasciato molti anni fa. «Le  mie opere rappresentano persone di minoranze etniche che, in Siria, vivono insieme», racconta. «Proprio come è successo a me quando ero piccolo: io frequentavo la comunità armena, ma sono cresciuto fianco a fianco con i musulmani». 

Una scena di "Round trip" del siriano Meyar Al Roumi.
Una scena di "Round trip" del siriano Meyar Al Roumi.

La degenerazione dello scontro in un conflitto armato - osserva Donatella della Ratta - non ha cancellato gli atti di resistenza creativa della popolazione. Così, nel corso del conflitto cittadini anonimi si sono cimentati in ogni tipo di gesto di disobbedienza civile, attraverso Facebook, Youtube, i social network, poster, cartelloni, graffiti sui muri. La mostra si divide in due percorsi: la prima espone opere degli artisti siriani emergenti o già affermati. La seconda esplora le forme di creatività anonima diffuse attraverso slogan, cartelloni, graffiti, poster politici.  Una creatività che non si identifica in nomi e volti, ma che testimonia come la guerra in Siria non abbia soffocato le istanze partecipative della società civile, la sua vitalità, la sua voglia di esprimersi e raccontarsi al mondo.

Appuntamento ormai storico nel panorama milanese, il Festival del cinema africano propone, come ogni anno, diverse sezioni: da "Il razzismo è una brutta storia" fino a "E tutti ridono", rassegna di commedie e film umoristici da vari Paesi. Quest'anno, poi, si è aggiunta la sezione speciale "Films that feed" (film che nutrono) dedicata a produzioni che toccano il tema dell'alimentazione e della sostenibilità, delle gastronomia e della sicurezza alimentare, in collaborazione con gli Expo Days, in attesa dell'Expo 2015. Tutto il programma delle proiezioni, ma anche degli eventi culurali e gastronomici legati al festival, si trovano sui siti: www.festivalcinemaafricano.org e www.cinemafricasiamerica.com.

Giulia Cerqueti
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