La voce degli italiani di "serie B"

Il regista italo-iracheno Haider Rashid parla di "Sta per piovere", il film che narra la storia di un giovane nato e cresciuto in Italia, ma costretto a tornare in Algeria.

23/02/2013
Una scena del film "Sta per piovere" .
Una scena del film "Sta per piovere" .

Haider Rashid, 27 anni, italiano figlio di immigrati, ha molti tratti comuni con Said, il protagonista del suo nuovo film Sta per piovere, che sarà nelle sale italiane a fine febbraio dopo l’anteprima a dicembre al Festival Internazionale di Dubai. Said, nato e cresciuto in Italia da genitori algerini, studia e lavora come panettiere part-time. Quando il direttore della fabbrica in cui lavora suo padre si suicida, la famiglia si trova di fronte alla realtà di non poter rinnovare il permesso di soggiorno, come fa puntualmente da trent'anni, e riceve un decreto di espulsione. La vita di Said prende improvvisamente una piega scura: l'Italia, il paese che ha considerato sempre suo, appare ora come un muro di gomma che lo spinge a “tornare a casa”, in Algeria, luogo che lui non ha neanche mai visitato. È la realtà dei “nuovi italiani”, di cui ha parlato anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio di fine anno, chiedendosi: “Già un anno fa, avevamo 420 mila minori extracomunitari nati in Italia: è concepibile che, dopo essere cresciuti ed essersi formati qui, restino stranieri in Italia?”
 
Haider, come mai un film su questo tema?
"Quando io ero adolescente, non si parlava mai delle cosiddette “seconde generazioni”. Credevo che i ragazzi con domande e dubbi simili ai miei fossero pochissimi. Nel 2010, rientrando in Italia dopo alcuni anni all’estero per studio, ho trovato una realtà diversa. Per me, di “origini miste”, è stata una necessità inserirmi nel dibattito sullo ius soli, sul diritto ad essere cittadini nel Paese in cui si nasce, e sulla riforma della legge sulla cittadinanza, basata per ora solo sul diritto di sangue".
 
Il tuo film è tratto da un episodio reale?
"È il frutto di tante storie vere, di tanti ragazzi culturalmente “italiani”, che tifano le nostre squadre di calcio e parlano e pensano come noi, ma un giorno scoprono di essere “cittadini di serie B”, perché la legge li considera stranieri nella propria stessa patria.  

E quanto c’è di autobiografico?
"Sicuramente il coinvolgimento emotivo, dato che sono nato da padre iracheno e madre calabrese, entrambi emigrati in Toscana. Grazie all’italianità di mia mamma, ho avuto da subito la cittadinanza e non ho avuto i problemi giuridici di Said. Ma di autobiografico ci sono tutte le domande sull’identità che mi hanno accompagnato dall’adolescenza: sei italiano o sei straniero? Sei di qui o sei di altrove? Ci si ritrova spesso a ragionare per categorie che si escludono: o sei italiano o sei straniero. Eppure, avere origini “miste” significa spesso essere italiani e qualcosa di più: una lingua e una cultura di più, un legame con un paese lontano, quello dei propri genitori e dei propri nonni".

Il regista italo-iracheno Haider Rashid.
Il regista italo-iracheno Haider Rashid.

Come dimostra il tuo accento toscano, anche l’ambientazione è autobiografica?
"Sì, la storia di Said si svolge a Firenze, la città dove mio padre è arrivato nel ’78. Nel film, c’è la “mia” città, non solo i monumenti famosi, ma anche i quartieri della periferia. Rispetto ad altre zone d’Italia, la Toscana è stata da sempre un’isola felice per l’accoglienza degli stranieri. È quindi il luogo ideale per mostrare l’assurdità della nostra legge sulla cittadinanza. Un anno fa, però, a Firenze c’è stata anche la strage dei due senegalesi (un terzo è ancora paralizzato in ospedale): questa è stata l’ultima molla per girare il film".

Lorenzo Baglioni, l’attore che interpreta Said, è italiano “di vecchia generazione”: come mai non hai scelto un figlio di immigrati?
"È stata una scelta voluta, proprio per mostrare come un italiano di seconda generazione sia in tutto e per tutto italiano". 

Sei alla tua terza produzione cinematografica. Di cosa parlano i precedenti lavori?
"Il lungometraggio Tangled up in Blue (2009), ambientato a Londra, parla del rapporto conflittuale di un ragazzo di seconda generazione con la memoria del padre, un famoso scrittore iracheno ucciso in un attentato. Nel documentario musicale Silence (2011), invece, i protagonisti sono un pianista australiano e cinque musicisti siciliani: suonano strumenti che secondo la logica musicale non avrebbero potuto stare insieme. Li ho uniti, ottenendo un risultato sorprendente".  

A quali registi ti ispiri?
"Alle posizioni forti del neorealismo italiano e al cinema di denuncia degli anni Settanta e Ottanta.  Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Gillo Pontecorvo con “La battaglia di Algeri” e John Cassavetes su tutti".    

Ed ecco il trailer del film.
 

Stefano Pasta
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