Terminator e i videogame

Il governatore Schwarzenegger voleva proibire i vidogame violenti, la Corte Suprema glielo ha impedito. E le famiglie?

04/07/2011

La recente decisione della Corte Suprema statunitense in tema di videogiochi ha stupito. L’idea che i massimi giudici di quella nazione abbiano avallato la vendita di qualsiasi videogioco, anche il più violento (annullando la legge che voleva vietarli), sembra controproducente.

     In realtà, come spesso succede da quelle parti, la sentenza s’inserisce in un più ampio contesto riguardante il primo emendamento costituzionale, quello che vieta di imporre o proibire qualsiasi convinzione o rappresentazione in tema religioso, culturale e di libera espressione. Tra questi temi rientra la violenza: mai e poi mai è stata emanata une legge che ne proibisse la rappresentazione. Così i videogiochi entrano sotto un ombrello molto ampio, che racchiude anche cinema, televisione e altro.

     Nella nazione in cui è lecito a chiunque comprare e possedere armi, questa “libertà” ne è un correlativo. Può risultare difficile capirlo in Europa, dove le cose vanno diversamente. In sostanza la Corte Suprema degli Stati Uniti si è pronunciata contro qualsiasi tentativo di limitare la libertà di espressione e di conoscenza dei bambini americani, che sarebbe violata da un divieto come quello stabilito in California dal governatore Schwarzenegger, con la legge – mai entrata in vigore – che era la materia su cui si doveva decidere. Come dire: per un cittadino americano, anche minorenne, è meglio essere eventualmente offeso dalla violenza che esserlo certamente dall’ignoranza.

     La Corte Suprema peraltro non impedisce ovviamente ai genitori di decidere in autonomia che cosa debba o non debba entrare in casa loro, magari aiutati da indicazioni e consigli. Gli Stati Uniti non sono l’Europa. E le preoccupazioni di quei supremi giudici delineano percorsi lontani dalla nostra mentalità.

     Tuttavia c’è almeno un elemento della sentenza che anche da noi può tornare utile: il riconoscimento che i videogiochi vanno considerati alla stregua dei libri e dei film, come testi dotati di forza culturale e talora anche artistica. Se fossero soltanto prodotti commerciali, andrebbero trattati con la freddezza che riserviamo alle merci: adeguate o inadeguate, ben costruite o malfunzionanti. Invece sono opere che agiscono al livello della mente e del cuore, nel bene e nel male. Amici o nemici assai più consistenti degli oggetti senz’anima.

     Ecco perché questa “clamorosa” sentenza può insegnare alle famiglie, alla scuola, alle persone avvedute, che nessuna legge e nessuna imposizione potrà mai soppiantare quel criterio di valutazione umana che è fondamentale per l’educazione e per la protezione dei più giovani. Almeno da questo punto di vista i giudici statunitensi hanno scavalcato ipocrite barriere formali che da sole – comunque la si pensi – in questo campo proteggono senza difendere.

Giuseppe Romano
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