20/10/2010
Toni Servillo in una scena di "Gorbaciof".
All’anagrafe si chiama Marino Pacileo, ma tutti lo
conoscono come Gorbaciof per via di una voglia
di colore violaceo sulla fronte. Di mestiere fa il
contabile nel carcere di Poggioreale, a Napoli. Un uomo
solo, che vive male, mangia peggio e indossa abiti
che gli si sono ristretti addosso. Non ha neppure passioni,
se non quella del gioco, sufficiente a compromettergli
un’esistenza tutt’altro che esaltante. Per coprire le
perdite al poker, Gorbaciof non trova di meglio che sottrarre
un po’ di soldi alla cassaforte del carcere, certo
che il vento della fortuna tornerà a soffiare dalla sua
parte. Purtroppo non sarà così…
Non si può non ricordare il personaggio di Aleksej Ivanovic,
protagonista del Giocatore di Dostoevskij. Come
nel romanzo, anche in Gorbaciof di Stefano Incerti il
mondo che ruota intorno alle bische e alle case da gioco
è descritto con impietosa e tagliente lucidità. Come nel
Verificatore è il senso di una profonda infelicità a guidare
le mosse del protagonista; come quella del mafioso
pentito nell’Uomo di vetro le psicologie sono sottili e
complesse; come in Complici del silenzio è una romantica
storia d’amore a svoltare nel thriller. Il personaggio
di Gorbaciof è un prigioniero del proprio destino, ma
anche un uomo generoso e tutt’altro che sordo ai sensi
di colpa. Al punto di entrare in una chiesa...
Con un dialogo ridotto al minimo, Gorbaciof è un
film tutto imperniato sull’osservazione e sul pedinamento
dei personaggi (la scrittura cara a Zavattini). Vero
e proprio cinema dello sguardo, che trova il suo asso nella
manica in Toni Servillo, nella sua camminata dondolante,
nella sua espressione fra il clownesco e il gradasso
che si pavoneggia con aria strafottente, capelli impomatati
e sorrisetto compiaciuto.
Enzo Natta