12/09/2011
La gioia delle giocatricie del Kenya, vincitrici della homeless world Cup femminile.
C'erano gli scampati del terribile terremoto che colpí Haiti nel
gennaio
del 2010, illesi nel fisico, ma senza più un luogo dove
abitare e costretti a dormire sul campo da calcio dove erano soliti allenarsi.
C'era Patrick, che arriva dal Ruanda e la sua storia di migrazione carica di
dolore non la vuole raccontare. C'erano i giovani greci travolti dalla crisi
economica. C'erano i ragazzi degli slum indiani, appoggiati dall'associazione
Slumsoccer, che organizza partite di football nei quartieri più poveri delle
città d'India, é attiva in almeno sette Stati e ha coinvolto finora nei suoi
eventi più di 50.000 persone.
L'appuntamento per tutti loro é stata l'Homeless
World Cup tenutasi a Parigi a fine agosto. Questo evento, nato nel 2003 per
iniziativa di Mel Young, giornalista scozzese presidente dell'International
Network of Street Papers, si tiene ogni anno in una città diversa del pianeta e
vede la partecipazione di una settantina di Paesi, rappresentati da squadre sia
femminili che maschili.
C'era anche l'Italia, unica nazione ad aver vinto la
Cup per ben due volte, nel 2004 e nel 2005. Se questo dovrebbe renderci, da
bravi tifosi azzurri, soddisfatti e orgogliosi, un po' meno dovrebbe
inorgoglirci la constatazione che i diseredati sono numerosi anche da noi e che
l'associazione Milano My Land denuncia il fatto che, dopo i trionfi, i nostri
campioni sono stati subito dimenticati dalle cronache e sono ripiombati senza scampo
nella loro miseria.
Una fase di Danimarca-Usa durante la Homeless World Cup.
I ranghi dei senzatetto, di quelli che in Francia vengono
chiamati SDF, sans domicile fixe, si ingrossano di giorno in
giorno, e la crisi
economica ha incrementato in maniera vertiginosa il numero di chi non
può più
permettersi un alloggio. Ne sanno qualcosa i giocatori della squadra
spagnola.
Fanno parte del Movimento 15 Mayo (15M), i famosi indignados che
hanno tenuto
banco per settimane nelle cronache dei telegiornali, bloccando la
centralissima
Puerta del Sol madrilena e denunciando a gran voce il degrado delle
condizioni
economiche dei lavoratori spagnoli, l'indifferenza dei Governi e
l'avidità
cinica del sistema bancario.
La squadra spagnola ha il supporto dell'Atletico e
del Real Madrid e ha visto "padrini" quali David Beckham e Ronaldo. Ma
la
simpatia del calcio ufficiale, quello delle star e dei contratti
miliardari, non
basta certo a rivoluzionare le cose. In Messico, il National Street
Soccer, il
campionato interno che ha mandato a Parigi i propri migliori campioni, é
supportato nientemeno che da Carlos Slim, per il secondo anno
consecutivo eletto
"uomo più ricco del pianeta" dalla rivista Forbes. Il leggendario
Carlos, patron
del gigante della telefonia Telmex, mentre ad agosto elogiava i giovani
giocatori della Homeless World Cup, perdeva in borsa più di sei
miliardi di
euro. Le sue coronarie non ne hanno risentito, di miliardi gliene
restano una
sessantina. Il Paese del narcotraffico e delle baraccopoli a perdita
d'occhio, é
anche il Paese dell'uomo più ricco del mondo. Forse c'é di che essere
indignados. Ma tant'é.
Poi c'é chi la ricchezza non ce l' ha alle Caymans, ma
nel proprio animo. Un grande esempio di coraggio e di generosità é stato
dimostrato dagli homeless del Giappone. I primi a capire, nella loro
situazione
di diseredati, la sofferenza delle vittime dello tsunami che ha
spazzato le
coste lo scorso marzo. "Siamo andati nell'area di Tohoku, una delle più
colpite
dal disastro" spiegano, timidi, i giocatori del Sol Levante. "Lí ci sono
minuscoli villaggi, piccole comunità di pescatori che contano sí e no
una
cinquantina di persone. Questa gente non é fra le priorità del Governo,
ci si é
dimenticati di loro. Siamo andati a dare una mano".
Mel Young, inventore della Homeless World Cup.
L'organizzazione
dell'Homeless World Cup é fiera di dire che più del 70% dei
propri giocatori ha
visto la propria vita migliorare. Perché e in che modo lo spiega Patrick
Mbeu,
calciatore di alto livello originario del Ruanda e emigrato in Francia
otto anni
fa, ora allenatore e ambasciatore dell'HWC. "Noi mettiamo a vivo il
potenziale
di molti giovani, il loro talento. Molti arrivano da situazioni in cui
non
avevano mai nemmeno tentato di milgiorare le proprie condizioni, nessuno
li
aveva mai motivati. Lo spirito di squadra, la solidarietà sportiva
possono
invece fare miracoli, ci si sostiene e ci si incoraggia a vicenda, ognuno
può
diventare un trampolino per l'altro. La passione per il calcio é un
vettore che
può essere importantissimo per mantenere un rigore morale nelle
situazioni di
miseria. Penso ai giocatori dell'Uganda, o del Kenya, che hanno passato
mesi a
allenarsi senza poi poter compensare i propri sforzi con un nutrimento
adeguato.
Eppure ce l'hanno fatta, la squadra femminile del Kenya ha vinto il
campionato
(la Cup maschile é stata conquistata dalla Scozia, n.d.r)."
Patrick sottolinea
quanto la motivazione sia determinante. "Qualcuno grazie alla HWC ha
trovato uno
stage di formazione, altri un lavoro vero e proprio". Già. Senza contare
che il
campionato ha generato tutta una serie di iniziative benefiche nel
mondo, tutte
volte a usare il calcio come strumento di aggregazione e riscatto
sociale. E'il
caso ad esempio della squadra di Santa Cruz, a Rio de Janeiro, che si
impegna a
togliere i ragazzi dalla strada e li indirizza alla disciplina dello
sport.
"Homeless non é soltanto chi non ha un tetto" precisa poi Patrick.
"Homeless
é chi vive nella precarietà, nella paura, nel disagio sociale,
nell'isolamento.
Vivere in una società in cui non abbiamo posto, in cui siamo confinati
ai
margini e circondati dall'indifferenza, é altrettanto grave quanto il
non
disporre di un tetto sotto il quale dormire. Perdere il proprio ruolo
fra gli
altri é come perdere la propria casa, quella dell'anima".
C'é una canzone in
voga in Francia in questo momento, cantata dal giovane gruppo
alternativo
Syrano, si sente alla radio da un po'. Il titolo é Planter des
cailloux,
letteralmente, piantare delle pietre. Il testo parla di un visionario
che pianta
sassi e li innaffia, indifferente a chi lo prende in giro. Il suo
desiderio più
profondo é infatti quello di far crescere dei muri, "i muri della mia
libertà".
Senza casa, senza un ruolo nel mondo, non vi é libertà.
Eva Morletto