26/09/2012
Gino Sarfatti. Courtesy Archivio storico Flos.
Lampade da tavolo dal movimento di rotazione spaziale con scorrimenti simili a quelli delle apparecchiature scientifiche, cubi che illuminano gli spazi in tre direzioni, cappelli delle signore negli anni Cinquanta come paralumi, riflettori e manopole per direzionare la luce: sono alcuni esemplari di una collezione di oltre 650 apparecchi luminosi disegnati da Gino Sarfatti (Venezia 1912 - Gravedona 1985). Sorpendono per qualità, lungimiranza progettuale, riuscita estetica e funzionale, come ricorda Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum. Ora il prestigioso museo di Milano celebra il creativo con la mostra Il design della luce (fino all’11 di novembre 2012) a cent'anni dalla nascita.
Ma la prima grande antologica dedicata a questo designer imprenditore, che a soli 27 anni è fondatore del marchio Arteluce, non vuole solo sottolineare il particolare legame da lui stabilito tra luce e spazio, sperimentazione e produzione, poesia e progetto industriale. Come spiega Marco Romanelli, che insieme con Sandra Severi Sarfatti ha curato la mostra, si tratta di un’esposizione voluta «per rendere nota la figura d’artista di Gino Sarfatti. Fino a oggi c’era stato solo un interesse da parte di gallerie private, in particolare francesi, e infatti le quotazioni dei suoi pezzi sono molte elevate. Nella grande storia dell’Italian Style, rispetto ad altri personaggi che hanno disegnato luce, è rimasto in secondo piano. Nel 1973, l’anno in cui Sarfatti cede a Flos la sua azienda, il grande boom mediatico del design italiano non è ancora avvenuto e quindi sparire dalle scene in modo così radicale è probabilmente una delle motivazioni che portano a questa colpevole dimenticanza».
I 230 oggetti luminosi in mostra alla Triennale provengono dalla collezione di Clémence e Didier Krzentowsky della Galerie Kreo di Parigi e dall’archivio storico di Flos. Suddivisi tra quelli da terra, a sospensione, da parete, da tavolo, sono in ordine cronologico, per dare rilievo all’evoluzione del disegno e della tecnologia. Con il successo di Sarfatti sarebbe arrivato nel 1955 il Compasso d’oro (il premio del design industriale più prestigioso a livello mondiale) per la “1055s”, dove “s” sta per scatola poiché si trattava di una lampada ad alta componibilità che veniva venduta smontata in una scatola, appunto. Ciascuna delle tre parti dello stelo si inserisce sulla precedente lungo l’asse, ma anche a 45 gradi, e può essere fissata a una base o su un sostegno a muro.
Spiega Marco Romanelli: «Il disegno della luce da sempre è condizionato dalla sorgente luminosa: quindi quello che noi dobbiamo inserire nella lampada per illuminarla è importante. Sarfatti precorre i tempi. Ogni qualvolta esce sul mercato una nuova sorgente, in tempi brevissimi lui disegna per questa lampadina un guscio ideale, offrendo un’interpretazione quasi insuperabile. Pensiamo alla slim line, quel grande tubo fluorescente che può essere anche molto lungo: Sarfatti lo riveste parzialmente con una sottilissima guaina (modello 1074) e il trasformatore, indispensabile per questo tipo di lampada, è posizionato a lato, separato quindi: un gesto che ha quasi la valenza di un’opera artistica. Ecco, la sua è una serie continua di invenzioni. Noi potremmo raccontare la storia alla rovescia: dalla creazione delle lampadine studiare come Sarfatti le ha interpretate».
Ginevra Petrolo