10/12/2010
Luca Barbareschi in una scena di "Noi credevamo".
«Noi credevamo» è la battuta conclusiva
di Domenico (Luigi Lo Cascio), protagonista
delle peripezie vissute da tre mazziniani
attraverso gli anni aspri del Risorgimento.
Tre ragazzi diversi, per estrazione sociale
ma anche per le contrastanti vedute sugli
strumenti da impiegare nella lotta politica,
che incarnano “la meglio gioventù” dell’800.
Siamo lontani dal modello melodrammatico
di Visconti (Senso, Il Gattopardo), vicini
invece alle cronache nostalgiche di Giuseppe
Cesare Abba in Da Quarto al Volturno, dove
lo scrittore ligure racconta le sue esperienze
di garibaldino con spirito critico. In quest’ottica
le profonde contraddizioni della storia patria si
articolano in un film corale, sofferto, alimentato
da parallelismi con il ’900 in un concatenarsi di
dilemmi che hanno dato vita a incomprensioni.
Noi credevamo narra infatti l’altra faccia del
Risorgimento, quella vera, non raccontata dalla
storia ufficiale. Fino a proiettare la sua ombra
sui nostri giorni.
Il passato bussa alla porta per
esigere il pagamento di un conto in sospeso
con un affresco appassionato che coinvolge e
commuove. Perché se vogliamo capire l’oggi
bisogna partire da ieri. Come in Morte di un
matematico napoletano, Martone adopera
l’aggancio col presente e usa la costante del
dolore come funzione catartica per afferrare
il senso della Storia. Spalleggiato da un cast di
attori straordinari e da una colonna musicale che
si fa linguaggio espressivo.
NOI CREDEVAMO
(Italia, 2010). Regia di Mario
Martone. Con Luigi Lo Cascio,
Valerio Binasco, Francesca
Inaudi, Toni Servillo.
Classifica Cnvf:
consigliabile/problematico/
dibattiti.
Enzo Natta