25/09/2012
Settembre 1835: con Lucia di Lammermoor, Donizetti raggiunge finalmente la vetta della popolarità, ma la sua prodigiosa attività non si arresta. Il 4 febbraio 1836, alla Fenice di Venezia, va infatti in scena Belisario, tragedia lirica in tre atti riproposta ora, dopo un lungo silenzio, come spettacolo inaugurale del festival donizettiano di Bergamo.
Per questo grande personaggio Donizetti ha creato una parte romantica di autentico baritono, precorritrice in qualche maniera del Verdi di Rigoletto. Nei tardi anni Sessanta ho avuto la sorte di ascoltare Renato Bruson, e non mi riesce facile sottrarmi al suo ricordo. Protagonista al Festival era l’uruguayano Dario Solari, bella figura e buona voce, cui mancano soprattutto una certa varietà di colori vocali e una maggiore rifinitezza per disegnare un personaggio espressivamente compiuto. Altrettanto dicasi di Antonina, moglie di Belisario, che ebbe l’indimenticabile Leyla Gencer come interprete d’insostituibile riferimento. Nell’accostarsi a questa eroina donizettiana, Donata D’Annunzio Lombardi ha voluto sanzionare il suo definitivo passaggio all’area del soprano “lirico spinto”: una decisione maturata forse con una punta di coraggiosa presunzione nel ritenersi idonea a sostenere il peso di una vocalità complessa, che dai toni lirici e patetici francamente abbordabili passa a risvolti drammatici che la mettono alle corde più del necessario. Anche il mezzosoprano Annunziata Vestri, per quanto felicemente espressiva, ha dato l’impressione di aver fatto vocalmente il passo più lungo delle gamba, mentre il tenore basco Andeka Gorrotxategui ha nel suo rispettabile arco vocale una quantità di frecce parzialmente spuntate che con lo studio possono essere meglio utilizzabili.
Completavano la discutibile compagnia di canto (il Festival ha qui, e non da oggi, il suo punto debole) il basso Francesco Palmieri e l’altro tenore Andrea Biscontin (un guerriero travestito da pavido Spoletta). La bacchetta equilibrata di Roberto Tolomelli, uno degli “eredi” di Gavazzeni, e la regia tradizionale e alquanto monocorde (con un purtroppo scarso uso delle luci) di Luigi Barilone hanno contribuito a fare di questa auspicata ripresa di Belisario, nonostante tutte le riserve, un momento di consapevole vitalità del repertorio donizettiano.
Giorgio Gualerzi