11/01/2013
Mariangela Melato, 71 anni, si è spenta questa mattina a Roma (Ansa).
Mariangela Melato è un’attrice poliedrica,
riscuote successi in teatro, cinema
e Tv alternando generi diversi
(dalla commedia alla tragedia al
musical).
Ulteriore conferma della sua versatilità
è il monologo autobiografico della grande
scrittrice francese Marguerite Duras Il dolore,
ambientato alla fine della Seconda guerra
mondiale, che porta in tournée a Genova,
Napoli e Roma.
L’attrice fa rivivere l’ansia di
una donna (la stessa autrice) in attesa di notizie
del marito deportato a Dachau, poiché ritiene
che «in un momento difficile come il
nostro bisogna confrontarsi con la sofferenza
umana, anche se magari il pubblico vorrebbe
evasione».
– Cominciamo dall’inizio. Lei non è figlia d’arte. Com’è che finì su un palcoscenico?
«La mia famiglia era di estrazione proletaria,
nessuno di noi era mai andato a teatro,
era un mondo che non conoscevamo; al limite
mio padre mi portava al cinema, di cui era
appassionato. Il desiderio di dedicarmi allo
spettacolo è nato da una mia voglia di ribellione
alle regole della famiglia di un tempo la
cui massima aspirazione era che la figlia trovasse
un buon impiego, molto tranquillo e
normale, magari in banca. Da bambina avevo
forti insicurezze, ma anche una grande fantasia
con la quale volevo emergere, essere diversa
e superare tutta la mia riservatezza e tutta
la mia fragilità. Il mio sogno segreto era stare
su un palco e parlare davanti ad altri che
mi ascoltassero, per vincere la timidezza».
- La scuola di teatro è stata importante?
«Se si vuole fare un mestiere con professionalità
occorrono buone basi, ma la recitazione
è un’arte speciale: non basta studiare, ci
vuole un cuore, una sensibilità, doti che nessuna
scuola ti può insegnare. Bisogna imparare
dal nostro modo di vivere e anche dalle
nostre debolezze. Più siamo fragili e insicuri,
più tocchiamo la sensibilità degli spettatori.
Noi attori siamo privilegiati e pratichiamo
un mestiere meraviglioso, ma dobbiamo lavorare
molto sul nostro carattere e sopportare
molti sacrifici, soprattutto se si è donna».
– Perché? Più difficile trovare una parte?
«I ruoli femminili sono meno numerosi:
se in un testo ci sono venti uomini, al limite
c’è una sola donna e, se non si è disponibili
subito, ci sono mille altre disposte a prendere
quel ruolo. Per fare l’attrice bisogna essere
toste poiché, nonostante il femminismo,
ci sono molte rivalità femminili, anche se io
sono circondata da colleghe che mi stimano
e mi vogliono bene».
– Com’è il rapporto con i registi?
«Sono stata particolarmente fortunata o
particolarmente testarda perché mi sono
sempre fatta scegliere da registi che mi piacevano.
Il regista è l’occhio critico che mi vede
come non mi posso guardare io, è come
un’altra parte di me di cui ho bisogno quando
lavoro. Molte giovani attrici mi chiedono
di dirigerle come regista, ma a me piace recitare
con una persona che mi guida poiché
voglio sforzarmi di migliorare sempre. Anche
in questa intervista mi sono sforzata di
parlare molto, nonostante, come le ho detto
prima, io sia nata timida».
Da Famiglia Cristiana n. 16/2010