Tesconi: le foto nel mirino

La medaglia d'argento di Londra nel tiro con la pistola chiude la sua prima "personale" come fotografo. I manicomi dismessi al centro del suo obbiettivo.

31/03/2013
Tesconi (primo a sinistra) esulta dopo aver conquistato la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Londra 2012 (Reuters).
Tesconi (primo a sinistra) esulta dopo aver conquistato la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Londra 2012 (Reuters).

In fondo si tratta sempre di mirare bene. Da 10 metri, con la pistola ad aria compressa, come con la macchina fotografica. Luca Tesconi, 31 anni, medaglia d’argento olimpica nel tiro a segno, ha chiuso ieri, a Palazzo Panichi di Pietrasanta, in collaborazione con Gestal Gallery, la sua prima mostra fotografica personale: si chiama “Non luogo” e racconta gli ex manicomi dismessi. A Londra 2012 è stato il primo italiano a salire sul podio, la rassegna ha rivelato un suo lato inatteso. Tesconi la definisce un viaggio negli stati della mente...


“Perchè tratta di pazzia e demenza", racconta il tiratore toscano: "Sono entrato nelle strutture che una volta erano chiamate manicomi, furono chiusi con la legge Basaglia numero 180: dal 1978 i malati psichiatrici sono affidati ai servizi territoriali. Sono stato in 6 complessi ormai dismessi in Toscana, Lazio, Emilia e Lombardia. Li ho visitati in due anni, trattenendomi per 5-6 ore ciascuno, con la mia ex fidanzata Francesca, di professione aiuto fotografa”.
 
Sono 35 immagini divise in 7 sale, come se il visitatore entrasse proprio in un padiglione medico.
“Ci sono “l’entrata”, “le attese” e poi “l’anamnesi”, ovvero le diagnosi, le terapie e le cartelle cliniche: c’era chi soffriva di leggeri principi di schizofrenia, si vedono lastre e prescrizioni di medicinali. Poi “i passaggi” e “le scritte”: graffiti forti, che mi hanno emozionato”.

- Perché una sala è intitolata bestie?

“Sono altri graffiti, riguardano sette sataniche e messe nere. In qualche stanza ho trovato raffigurati demoni, come la capra a due teste, magari qualcuno se li sentiva dentro. L’ultima tappa si chiama solitudine”.

- Chi l’ha guidata, in quelle sue esplorazioni?

“Ero entrato di nascosto, con sotterfugi, del resto sono posti abbandonati. In uno dopo 6 ore non trovavamo più l’uscita: le finestre hanno le sbarre, le porte sono murate e si ripetono tutte uguali, in ogni stanza. Il telefonino non prendeva, come un film horror: vagammo per altri 45 minuti, finchè tornammo indietro, all’unica finestra da cui eravamo entrati”.

- Chissà come batteva il cuore...

“Persino più che in gara. Ma è comprensibile, dopo tanti giri all’interno, anche al buio. In generale abbiamo trovato tracce del male di vivere, espresse anche attraverso disegni e schizzi di sangue. Le pareti di certe stanze raccontano storie davvero terrificanti".

- Perchè un percorso così inconsueto?

“Volevo compierlo da tempo, ho sempre sognato di esplorare questi luoghi. Fin da bambino sono rimasto colpito dai racconti di mio padre Mauro: oggi ha 64 anni, faceva il rappresentante di psicofarmaci al manicomio di Maggiano, sempre in provincia di Lucca”.

- Le ha trasmesso anche la passione per le armi?

“Da ragazzo si allenava, riprese 12 anni fa e mi portò con sè al tiro a segno: adesso ha un bed and breakfast, il Cortepattana, nel centro storico di Pietrasanta, assieme a mia madre Marzia, 60 anni”.

- E com’è sbocciata la passione per le foto?

“Quando mi regalò la mia prima macchina, una vecchia Minolta a rullino. Avevo 16 anni, ero in seconda superiore all’istituto d’arte Stagio Stagi: presi il diploma e iniziai l’accademia di scultura a Carrara, con la partenza per il servizio militare avevo interrotto gli studi. Ora ho una Nikon e ogni tanto mi porto anche la vecchia fotografica”.

- Cosa la affascinava di quei racconti degli ex manicomi?

“Le grandi sale e le porte blindate, i mille controlli da compiere. I medici giravano con il carrello dei farmaci e i malati erano in fila con gli occhi sbarrati: sembrava che a qualcuno avessero spento il cervello; alcuni chiedevano una sigaretta e la finivano in una tirata. E papà non vedeva mai i pazienti più pericolosi, perchè erano legati al letto, in stanze più segregate”.

- Per questa “Non luogo” ha tratto ispirazione anche dai libri di Mario Tobino, scomparso nel 1991...

“Era stato direttore dell'ospedale psichiatrico di Lucca, in particolare nel reparto femminile. Gli ultimi dubbi svanirono leggendo “Marta che aspetta l'alba”, di Massimo Polidori, è il racconto di una infermiera proprio di un manicomio”.

- Cosa le hanno lasciato quei 6 viaggi nei luoghi della sofferenza?

“Ricorderò sempre le sbarre alle finestre e le porte blindate con gli spioncini da dieci centimetri, erano l'unico contatto con l'esterno. E poi le lettere che i malati spedivano e non venivano mai recapitate”.

- Trovò anche le missive di uno scultore toscano fatto rinchiudere dal padre benché sano.

“Accadde un secolo fa, dopo un violento litigio. L’anziano, pure scultore, era dedito all'arte sacra, mentre il figlio preferiva lo stile futurista o alla Modigliani: restò dentro a vita, passava il tempo a scrivere e a disegnare momenti degli altri ricoverati; il mio prossimo lavoro sarà dedicato proprio a lui”.

- Intanto continuerà a tirare.

“Vorrei tornare sul podio a Rio de Janeiro 2016 e resistere sino all’Olimpiade successiva”.

- In fondo “to shoot” in inglese significa fotografare e pure sparare...

“E’ la mia vita, da carabiniere, per il centro sportivo di Roma. Impugno la pistola o la macchina fotografica e fisso un obiettivo, dettaglio o bersaglio che sia. E poi sparo o scatto”.

- A Londra gareggiò nel primo giorno di Olimpiadi, poi chissà quanto avrà fotografato...

“Un centinaio di immagini. Mi piacerebbe produrre un reportage sportivo, il backstage di una gara: raccontare il prima e il dopo, ovvero come ti prepari e poi magari piangi perchè è andata male o hai vinto. Insomma momenti intimi, che in genere confido al mio allenatore Marco Masetti, di Bologna”.

- Cos’altro la cattura, come fotografo?

“A Bangkok ho immortalato le strade, momenti di vita nella capitale della Thailandia”.

- E più vicino?

“Il Carnevale di Viareggio e Lucca Comics. Vivo a Pietrasanta escluso una settimana al mese, a Milano in ritiro con la nazionale. Nel tempo libero gioco a tennis, praticavo aikido, arte marziale che sfrutta l’energia dell’avversario a proprio favore: si usa molto la respirazione, aiuta anche nel tiro a segno”.

Vanni Zagnoli
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