Robin Hood, gladiatore di Sherwood

E' nelle sale italiane il kolossal di Ridley Scott, che ricostruisce con rigore il personaggio.

20/05/2010
Russel Crowe è Robin Hood.
Russel Crowe è Robin Hood.

Armato solo di arco e frecce, sta conquistando le sale cinematografiche di tutto il mondo. Ma non c’è da meravigliarsi visto che a prestare il volto all’ennesimo Robin Hood di celluloide è la superstar Russell Crowe e che a pianificare l’assalto al box-office è un marpione di gran talento come Ridley Scott già regista di film cult come I duellanti, Alien, Blade Runner, Thelma & Louise e soprattutto Il gladiatore, successo mondiale che nove anni fa fruttò l’Oscar proprio all’attore neozelandese. Su quel set, tra i due nacque un’intesa, un vero e proprio sodalizio artistico che li ha portati poi negli anni a collaborare per altri tre titoli di successo: Un’ottima annata, American Gangster e Nessuna verità. Insomma, questo novello Robin Hood è la loro quinta volta insieme e milioni di fan sparsi per il mondo stanno già facendo la fila ai botteghini per vedere il kolossal all’indomani dell’anteprima, in un turbinìo di smoking e paillettes, nel gala di apertura del 63˚ Festival di Cannes.
 
Eppure, il mitico arciere di Sherwood è una delle figure più sfruttate dal cinema. Basti pensare anche solo alle pellicole rimaste più impresse nella memoria dello spettatore. Il classico di Michael Curtiz del 1935 con Errol Flynn. Lo splendido cartone animato Disney. Il crepuscolare e originale Robin & Marian di Richard Lester, con Sean Connery e Audrey Hepburn. L’avventurosa versione fatta da Kevin Costner nel 1991. O addirittura la parodia firmata poco dopo dal genio della risata Mel Brooks. Possibile che ci sia ancora qualcosa da raccontare sul “vendicatore che rubava ai ricchi per donare ai poveri”?
 
«Sinceramente, non c’è uno di questi vecchi film che mi abbia davvero colpito», puntualizza Ridley Scott, 72 anni portati con britannica baldanza. «E sono almeno vent’anni che il personaggio era scomparso dallo schermo. Anche se, forse, la prima spinta a fare il film mi è venuta dall’intimo desiderio di tornare a sentirmi un po’ bambino. Son cresciuto col mito di Robin Hood: è un simbolo, un archetipo degno della mitologia greca. E piace a tutti: grandi e piccini, uomini e donne».

Inevitabile l’accostamento tra il nuovo Robin Hood e il comandante Maximus protagonista de Il gladiatore. Ma Scott non è sorpreso né è tipo da nascondersi dietro a un dito. «Il paragone non mi dispiace affatto. In effetti, la struttura narrativa è la stessa», ammette il regista già al lavoro sui prossimi progetti: The Kind One, thriller con Casey Affleck e il prequel del fantascientifico Alien. «Ma c’è una sottile differenza. Maximus era un personaggio di finzione, benché tutto il resto fosse assolutamente reale. Mentre Robin Hood non si sa con certezza se sia mai esistito, anche se propendo per il sì. Tutto quello che lo circonda, comunque, è assolutamente veritiero».
 
È sul rigore storico e filologico che Scott e Crowe hanno puntato per la loro versione dell’eroe. Un uomo provato, ferito dalla perdita del padre, sbandato, che solo piano piano prende coscienza del bisogno di ribellarsi ai soprusi dei nobili. Tanti combattimenti e colpi di scena anche se il tono, senza corazze ed elmi piumati, è quello di un gladiatore un po’ “cencioso”. È il brutto del Medioevo. «Russell mi riconosce un buon occhio cinematografico, io trovo che lui abbia una sensibilità rara per un attore così mascolino», racconta Scott a proposito del rapporto che li lega. «Ogni tanto, sul set, facciamo scintille. Ma noi lo chiamiamo processo creativo».

Maurizio Turrioni
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