19/05/2010
E così Michele Santoro lascia la Rai per sperimentare la “docu-fiction”, genere televisivo che avrà pure i suoi quarti di nobiltà ma di solito non fa impennare gli indici d’ascolto. Questa comunque la versione ufficiale, dove per ufficialità si deve leggere reciproca convenienza e riserbo sui retroscena, oltre a un buon tasso di ipocrisia.
Per esempio, sarebbe interessante sapere quale delle due parti, la Rai o la star, abbia preso l’iniziativa. Difficile che sia stata l’azienda. Oltre alla protezione fornita dalle sentenze di tribunale, il ruolo che meglio impersona Santoro è quello del martire. Al primo accenno aziendale sarebbe scoppiato un putiferio: censura voluta da Berlusconi, genuflessione dei dirigenti Rai, libertà di informazione a rischio, cioè il solito déja-vu. Molto meglio i due anni per la “docu-fiction”, i quali rappresentano, con l’aria che tira, una scadenza a babbo morto.
Probabile in definitiva che a muovere il primo passo sia stato proprio Santoro. I suoi elementi di valutazione erano da un lato la popolarità e la comoda posizione di rivoluzionario con il permesso, anzi il compenso, delle pubbliche autorità; dall’altro, chissà, la voglia di sciogliersi dalla routine, il far vedere che sa andare oltre il dibattito di piazza e, absit iniuria, una liquidazione milionaria. Soluzione insomma che fa comodo a tutti, salvo i redattori di Anno Zero che non dovrebbero saltare per la felicità. Fa comodo alla Rai, che fruiva di alti ascolti ma li pagava con perenni noie e polemiche. Fa comodo a Berlusconi che vedeva Santoro come il fumo negli occhi. E se è stato il giornalista a mettere in moto la procedura “consensuale”, si vede che fa comodo anche a lui.
Giorgio Vecchiato