Eroi in Tv, il commissario Nardone

L’attore Sergio Assisi, napoletano, interpreta in una fiction Rai il commissario Nardone, che nel dopoguerra diede vita alla polizia moderna, creando la Squadra Mobile.

25/09/2012
Il commissario Mario Nardone, interpretato da Sergio Assisi, nella fiction Rai in onda il lunedì alle 21;10 (foto Ansa)
Il commissario Mario Nardone, interpretato da Sergio Assisi, nella fiction Rai in onda il lunedì alle 21;10 (foto Ansa)

Dopo oltre due anni la Rai ha tirato fuori dal cassetto una fiction, già pronta, dedicata al Commissario Nardone. Finalmente, potremmo dire. Perché, in questo caso, la televisione non è solo intrattenimento ma soddisfa le richieste dei numerosi telespettatori che auspicano programmi di un certo spessore. Forse non tutti sanno, infatti, che Mario Nardone è veramente esistito ed è colui che diede vita, nel dopoguerra, alla polizia moderna creando la Squadra Mobile. Risolse i casi di Rina Fort, la belva di San Gregorio, e quello della Banda di Via Osoppo. Di origine campane, venne trasferito da Parma in una Milano in preda alla criminalità organizzata. Per interpretare il ruolo di questo eroe moderno e molto umano è stato scelto Sergio Assisi, divenuto popolare per aver interpretato serie di successo come Elisa di Rivombrosa e Capri. Fisicamente non assomiglia molto a Nardone ma la sua interpretazione del Commissario è più che convincente.

Nella vita di un attore, prima o poi, arriva sempre un commissario. A te, è capitato uno veramente esistito…

Quello che mi ha colpito di Nardone, e ripeto sovente, è il fatto di essere una persona normalissima che ha fatto della semplicità il suo punto di forza. È diventato un eroe grazie alla passione che aveva per il suo lavoro, per la famiglia e per il gruppo che è riuscito a fondare. Per me, è un esempio fortissimo. E in un momento in cui si ha così tanto la necessità di eroi significa che qualcosa non funziona…

Conoscevi la figura di Nardone prima di interpretarlo?

L’avevo solo sentito nominare per le sue indagini e per i suoi successi. Anche su Internet non c’è molto su di lui. Ho conosciuto il personaggio attraverso i ricordi del figlio, oggi un affermato medico. La cosa bella è che mi sono ritrovato, senza saperlo, con molti punti caratteriali in comune con il personaggio che ho interpretato.

Caratteriali, non fisici…

Non è importante ricordare fisicamente la figura che andrai ad interpretare, ma sapersi calare nel ruolo che ti hanno affidato, secondo me. In Italia, invece, si cerca quasi sempre un attore che assomigli alla persona realmente esistita. Allora perché non prendere dei sosia? Negli Stati Uniti non funziona così. Gli americani non si pongono il problema delle somiglianze, delle altezze, dell’età. A Hollywood riescono a far passare attori di 45 anni per adolescenti e viceversa.

Il figlio di Nardone si è dimostrato contento per come è stato rappresentato il padre?

Contentissimo. Mi sono commosso anch’io quando l’ho visto con gli occhi lucidi mentre guardava la prima puntata della serie.

Quali sono le caratteristiche che vi accomunano?

Il fatto di essere fumantino, di non sopportare le ingiustizie, di essere del sud. Poi ho aggiunto al personaggio un po’ del mio, come la napolenità.

Nardone a Milano non riusciva a trovare un caffè buono come quello di Napoli: anche tu sei un integralista del caffè?

Certamente. Il tormentone del caffè, nella fiction, l’ho cavalcato con piacere. Negli anni ’50 avere una buona tazzina di caffè era davvero difficile, praticamente un lusso. Oggi il caffè buono c’è dappertutto. Nel capoluogo lombardo, tra l’altro, ho bevuto dell’ottima miscela, ma il caffè di Napoli rimane unico…

Per un poliziotto non è facile avere una famiglia. Anche per un attore può essere complicato?

L’arte è un dono e una dannazione allo stesso tempo. Rischi di trovarti solo, è vero. Perché l’arte si nutre di due cose: fame e solitudine. Quando finisce la fame, finisce l’estro artistico. L’arte, poi, si nutre di solitudine. Non sono un estremista di questo pensiero ma in solitudine si crea di più. Mi ritengo un animale sociale ma, per il momento, sono ancora single.

Se non avessi vinto la borsa di studio all’Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Bellini di Napoli, pensi che saresti diventato comunque un attore?

Forse avrei fatto l’avvocato. Mi mancano solo 4 esami alla laurea, esami che non ho più dato perché è stata, in realtà, la mia vera strada a scegliere me. Certo ho fatto delle scelte importanti, ma solo dopo aver intrapreso il percorso della recitazione. Nella fase iniziale, è stato il destino mosso, comunque e sempre, dalla mia volontà ad indicarmi quella che sarebbe diventata la mia professione. Ma è solo con il tempo che le scelte diventano autonome, nel senso che la resistenza alle difficoltà che incontri è già una scelta. Se tu credi veramente in qualcosa la persegui senza mai stancarti.

Sei uno dei pochi attori che ha diversificato la propria attività. Non sei solo attore ma anche scrittore e di recente hai aperto una società di produzione. Per combattere i momenti di crisi, la noia o per passione?

La linea guida è sempre la passione, indipendentemente dal fatto che faccia libri, regia o produzioni cinematografiche. Da poco abbiamo prodotto uno spot per Napoli che si chiama Il lungomare più bello del mondo. Nei primi due giorni di pubblicazione on line ha avuto 200 mila accessi. E quando fai le cose per passione poi arrivano anche i vantaggi. Mi stanno offrendo tantissime altre opportunità. Ora stiamo lavorando insieme ad Andrea ed Alessandro Cannavale, figli del grande attore Enzo, alla preparazione di un film che ho scritto e che si chiama A Napoli non piove mai. Si tratta di una commedia che dovrebbe uscire la prossima primavera-estate.

Hai fatto anche un film con Maria Grazia Cucinotta, C’è sempre un perché , nelle nostre sale a febbraio. È vero che è una produzione italo-cinese?

Sì, è la prima produzione italo-cinese andata a buon fine grazie alla Cucinotta, che è stata lungimirante e bravissima. È stato un progetto molto difficile da realizzare per la lingua e per le differenze culturali. Interfacciarsi sul set è stato piuttosto complicato.

Ma come recitano i cinesi?

Bella domanda… non lo capisci perché parlano in cinese… Scherzi a parte, la recitazione è completamente diversa e quindi non ho un parametro di giudizio.

Subito dopo Nardone sei tornato al tuo look, capelli lunghi e spettinati?

Assolutamente sì. Mi piace nascondere un po’ il viso con i capelli, forse perché in fondo sono un timido, e per nulla attento alla moda. Potrebbe essere impopolare questa scelta per un attore, ma sono fatto così.

Nella tua carriera sei passato con disinvoltura dai ruoli drammatici a quelli brillanti, da quelli in costume a quelli negativi. Cosa ti manca?

Vorrei calarmi nei panni di un santo come Sant’Agostino o San Francesco. Anzi, San Gennaro!

Monica Sala
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