18/06/2013
Il regista di "Slow food story" Stefano Sardo.
Il regista Stefano Sardo lo ammette: «Girare Slow Food Story è stato come ritrovare casa, riscoprire un lessico familiare». Il padre Piero è stato tra i fondatori dell’ormai celebre associazione di cultura enogastronomica, nonché amico del guru Carlo Petrini (“Carlin” per gli intimi) fin dai primi passi. «Quando mi hanno proposto il docu-film ho tentennato», spiega Sardo, 41 anni, sceneggiatore di Tv (In treatment) e cinema (La doppia ora, Tatanka).
«Mi hanno convinto la dimensione conviviale del racconto; la personalità e l’autoironia dei protagonisti; la possibilità di attingere a una miniera di filmini amatoriali, foto, ricordi, interviste inedite. Una bella storia di persone vere. Credo che ricordare sia gesto necessario in un Paese che tende ad avere sempre meno memoria. Con la crisi che c’è, poi, uscire in sala è un tentativo coraggioso».
E non facile, dato che dopo l’approdo nei cinema delle maggiori città italiane la programmazione di Slow Food Story è ora a macchia di leopardo, ossia laddove le mega case cinematografiche lascino uno schermo libero. Lo consigliamo comunque sia a chi si trovi vicino a queste sale sia a coloro che lo vedranno invece in Tv: lo trasmetterà in autunno Rai 3 nello storico spazio di Doc3. Una rivoluzione lenta e cocciuta, come la chiocciola che fa da logo, sul filo dell’amicizia e della partecipazione. Attraversando la storia del Paese: dal movimentismo anni ’70 fino all’affermazione mondiale di Slow Food (85 mila soci in 130 paesi con una rete di oltre 2 mila comunità di piccoli produttori). Filosofia di fondo: recuperare tradizione e qualità dei cibi, restituendo dignità sociale a chi li produce.
Cuore di questo movimento planetario è Carlo Petrini, uomo allo stesso tempo geniale, per l’attitudine a inventare il futuro, e genuino, per il suo tener fede ai valori malgrado il successo.«Sbaglia chi relega la gastronomia a dimensione folcloristica», ci dice Petrini, 64 anni giusto il 22 giugno. «Il cibo è piacere della vita ma offre pure l’occasione di ripensare i modelli produttivi. Il modo in cui mangiamo sta inaridendo e uccidendo il pianeta. Ritorniamo ai sapori tradizionali, al cibo “buono, pulito e giusto”: salveremo la Terra e noi stessi».
Una scena di "Slow food story" con il fondatore Carlin Petrini.
– Cos’è allora, per lei, la gastronomia?
«Una scienza multidisciplinare
complessa. Non si tratta di dare stelle, forchette o cappelli. Bisogna
sapere di agricoltura, zootecnia, economia politica, sociologia. È ciò
che insegnamo agli studenti nella Università di Scienze Gastronomiche, a
Pollenzo».
– Un modo di far politica?
«Il cibo governa il ventre delle
persone. La crisi della politica di oggi è dovuta alla stessa
insensatezza con cui si è sfruttata senza freno la terra, impoverendola.
In Italia, i contadini sono il 3 per cento della popolazione e la metà
ha più di sessant’anni. E pensare che le nostre sole risorse per uscire
dalla crisi sono il patrimonio artistico e l’enogastronomia».
– Beh,
cucina e alimentazione vanno di gran moda. Non si parla
d’altro...
«Questi cuochi e masterchef in Tv fanno solo pornografia
alimentare! Per non dire del maschilismo di fondo. Sono quasi sempre
uomini e non pagano dazio a quei milioni di donne che, nell’ombra, hanno
creato i grandi piatti della nostra cucina. Dietro le loro ricette ci
sono nonne, madri, zie, mogli. Fumo negli occhi per distrarre da ciò che
conta»
– Vale a dire?
«Il fatto che stiamo vivendo una nuova forma di
violento colonialismo. Oggi esiste la proprietà privata delle sementi:
grazie al sistema dei brevetti, l’80 per cento dei semi esistenti è di
proprietà di cinque multinazionali. Quando il restante 20 per cento
verrà accaparrato dai privati, l’agricoltura sarà finita».
– È per questo
che è nato il forum di Terra Madre?
«Ogni bienno più di 5 mila tra
allevatori, piccoli agricoltori, cuochi, pescatori si danno appuntamento
a Torino per discutere i problemi, attuare strategie, fare alleanze per
resistere allo strapotere delle multinazionali agroalimentari. In
Sudamerica, chef come Gastòn Acurio oggi insegnano “gastronomia della
liberazione”».
– Non si rischia di scadere nell’utopia?
«No. Soprattutto
ora che il nuovo direttore generale della FAO è il brasiliano Josè
Graziano da Silva, già responsabile del programma “Fame zero” sotto il
governo Lula: promuovendo le sementi autoctone, ha risollevato 40
milioni di contadini brasiliani dalla miseria. La FAO ora capisce d’aver
sbagliato a promuovere le colture intensive. E con noi di Terra Madre
ha appena firmato un protocollo per la difesa della piccola
agricoltura».
– Insomma, la speranza viene dall’America Latina. Come per
la Chiesa con l’arrivo di papa Bergoglio.
«Un Pontefice che sa cosa siano
fame e povertà. L’avvento di papa Francesco è un ulteriore
incoraggiamento. E voglio ricordare anche le forti prese di posizione di
Benedetto XVI per il rispetto del Creato da parte dell’uomo. Io sono
agnostico, ma in questa Chiesa mi riconosco».
Sotto, il trailer del documentario Slow food story.
Maurizio Turrioni