23/03/2011
Liz Taylor con Richard Burton in "Cleopatra". I due attori si sposarono due volte.
Si è spenta la luce negli splendidi occhi viola di Liz Taylor. Per milioni di appassionati del cinema è come se fosse scomparsa una ex fidanzatina, la prima ragazzina del cuore (alzi la mano chi, nel buio della sala, non si era innamorato del suo ovale perfetto incorniciato dai capelli corvini). L’ultima diva della Hollywood dei tempi d’oro, sia per il fascino indiscutibile sia per le sue innate doti di attrice, è morta a 79 anni per insufficienza cardiaca in un ospedale di Los Angeles, dove era ricoverata essendo malata da tempo.
Questa la scarna cronaca. Ma oltre alle leggendarie chiacchiere sul suo bizzoso carattere, agli otto matrimoni (seguiti da altrettanti divorzi) spesso con uomini più giovani, alle epiche scenate di gelosia con Richard Burton (che di quei sì se ne aggiudicò ben due, in un personalissimo record di irresistibile passione), di Elizabeth Taylor restano i due Oscar vinti (nel 1961 per Venere in visone e nel 1967 per Chi ha paura di Virginia Wolf?) e una carriera straordinaria scandita da 55 film, quasi tutti di successo mondiale.
Un successo precoce
Dopo il debutto, conquistò nei primi anni Quaranta le platee di tutto il
mondo come protagonista di Torna a casa Lassie! e poi di Gran Premio.
Per lei fu rispolverato l’appellativo di bambina prodigio, usato prima
per Judy Garland e in seguito meritato soltanto da Jodie Foster e
Natalie Portman. Un precoce successo che non le impedì comunque di
maturare come interprete fornendo prove convincenti in pellicole come
Piccole donne, Il padre della sposa, Un posto al sole,
Quo vadis?, Il
gigante, Improvvisamente l’estate scorsa, La bisbetica domata,
Cleopatra, Assassinio allo specchio.
Liz Taylor nel ritratto che le fece Andy Warhol.
I sentimenti e l'alcol
Una escalation vertiginosa, la sua,
che ne minò il carattere instabile procurandole una vita sentimentale
turbolenta e una tragica dipendenza dall’alcol. Ne venne fuori più volte
riuscendo, con autoironia, a tornare a recitare (ne I Flintstones, sua
ultima apparizione sullo schermo nel 1994) e soprattutto a spendere il
nome per una buona causa come la raccolta di fondi per l’Amfar,
l’Associazione americana per la lotta contro l’Aids. Un impegno che l’ha
vista in prima linea dal 1993, spingendola a prendere l’aereo senza
curarsi della salute malferma pur di presenziare all’annuale asta
benefica in occasione del Festival di Cannes. Oltre 58 i milioni di
dollari raccolti dalla Taylor per la ricerca scientifica.
Quando,
qualche anno fa, non ce l’ha fatta più a sorvolare l’Atlantico e ha
passato all’amica Sharon Stone il testimone, abbiamo capito tutti che il
declino della diva era ormai inarrestabile. Eppure, la sua morte ci ha
colto lo stesso di sorpresa. Forse perché, con la fantasia, continuiamo a
vederla come Maggie in La gatta sul tetto che scotta: bellissima e
disperata, l’immancabile bicchiere in mano, mentre chiede languida al
marito Brick, un algido Paul Newman, perché lui non la ami... Nessuna
sarà mai più così vera a Hollywood come ha saputo essere lei, Liz dagli
occhi viola.
Maurizio Turrioni