06/06/2012
Massimo Troisi (foto Reuters).
«Ricordati che devi morire!»
«Comm’é?»
«Ricordati che devi morire».
«Sì, sì, mo’ me lo segno subito».
Per Massimo Troisi e Roberto Benigni questa battuta, pronunciata da un frate in una scena del film Non ci resta che piangere nella primavera del 1984, era diventata un tormentone e non c’era giorno che sul set, fatti gli immancabili scongiuri, uno dei due la pronunciasse. Quelle ore passate durante la lavorazione non me le dimenticherò mai. Benigni lo conoscevo da quando aveva girato Televacca, strampalata trasmissione stroncata dalla critica ma decisamente divertente; il mio giornale era stato l’unico a dedicarle un po’ di spazio. Troisi invece l’ho incontrato quand’è esploso in televisione con L’Annunciazione, una divertentissima ma non irriverente scenetta recitata insieme con Lello Arena ed Enzo De Caro. Ecco una scena straordinaria del film Il Postino, con Massimo Troisi e Philippe Noiret:
Ed è merito di Enzo se la Rai ha realizzato lo special Un poeta per amico: Massimo Troisi. Mandato in onda quasi alla chetichella un anno prima del ventennale della morte, diretto da Paolo Beldì, il programma (che non è andato benissimo, ha fatto appena circa tre milioni di spettatori, pochi per un fuoriclasse come Troisi, d'altronde non ci si poteva aspettare nulla di più da un programma fatto un anno prima di quando era giusto farlo) ha raccolto le testimonianze di Renzo Arbore, Lina Sastri, Tullio Solenghi e Massimo Lopez, ma anche di Anna Pavignano, sceneggiatrice di quasi tutti i film di Troisi e sua compagna di vita.
Presente anche Alessandro Siani, che qualcuno considera l’erede di Massimo. Ancora una volta lo special ha sottolineato come la tv di un tempo possedesse la forza per creare, o comunque lanciare personaggi capaci di farti stare davanti al video senza sottoporti a volgarità o mancanza di idee.
Tornando a Massimo e ai suoi compagni, una sera attraversammo la Sicilia, da Agrigento a Catania, per andare a vedere una loro esibizione dal vivo in un modesto cortile che, grazie alla loro presenza, si trasformò subito in un fastoso teatro. Ci divertimmo, io, mia moglie e mia figlia, che allora era molto giovane ma quei tre "li preferiva alla musica disco" che imperversava in quel periodo. Con Massimo, che era un accanito giocatore di pallone nonostante avesse una valvola mitralica - sul suo petto c’era una vistosa cicatrice -, un giorno andammo in pullman da Roma a Napoli per giocare un’amichevole con la squadra del suo paese.
Lui non parlava, ma biascicava quel suo dialetto di San Giorgio a Cremano. Non si capiva una parola, eppure la comunicazione era assolutamente recepita dai suoi interlocutori. E ho sempre sospettato che ne avesse fatto un vezzo. Quando veniva a Milano ci s’incontrava in un ristorante di pesce perché - diceva e non aveva torto - quello di Milano era il miglior “mare” d’Italia. Massimo dovette sottoporsi a un altro intervento al cuore con l’inserimento di una seconda valvola mitralica. Era di nuovo volato in America ma stavolta a spese sue, mentre la prima il viaggio e l’intervento erano stati possibili grazie a una colletta tra i suoi amici più cari e non certo ricchi.
«È andata bene», mi disse al rientro in Italia e tornò di moda quella battuta del film Non ci resta che piangere. Poi Massimo cominciò a girare su un’isoletta sperduta nel mare di Ischia il film Il postino, che raccontava dell’amicizia tra Pablo Neruda, il poeta cileno esiliato dal fascismo perché considerato un pericoloso comunista, e il portalettere che ogni giorno in bicicletta gli consegnava la corrispondenza. Massimo era entusiasta del film tanto che non volle lasciare il set se non alla fine della lavorazione. Morì cinque giorni dopo. Benigni scrisse per lui una poesia che cominciava così:
Non so cosa teneva “d’int a capa”,
intelligente, generoso, scaltro,
per lui non vale il detto che è del Papa.
Morto Troisi non se ne fa un altro!
Gigi Vesigna