13/05/2010
Uno stand di Cibus, la fiera dell'agroalimentare allestita a Parma.
Si vedono in giro prodotti alimentari denominati “naturali”. La questione è oggetto di molte discussioni e controversie. Fra l’altro, non si è più saputo niente della proposta di Direttiva comunitaria che era in discussione dieci anni fa per disciplinare l’uso del termine “naturale” nelle etichette dei cibi. Prevedeva l’uso di questo termine solo nel caso di prodotti “reperibili in natura” che non fossero stati oggetto di alcun trattamento (fatta salva la refrigerazione) e ai quali non fosse stato aggiunto alcun additivo, colorante o altra sostanza chimica estranea alla natura dell'alimento.
La proposta di Direttiva consentiva l’uso del termine anche per la miscelazione tra prodotti naturali. Probabilmente la Direttiva è rimasta nel cassetto perché la suddetta definizione di “naturale”, seppure semplice, non chiudeva affatto le discussioni, che tuttora restano aperte per una miriade di casi particolari e anche per diversi punti di vista scientifici. Vi sono pure diverse gradazioni di “naturalità”. Per esempio, tra una fragola di serra, una di campo e una di bosco. Volendo, si potrebbe ipotizzare un marchio di naturalità a stellette. Della questione si occupò dieci anni fa anche il Codex alimentarius, l’organismo dell’Onu che ha il compito di stabilire linee-guida sui requisiti e sulla classificazione dei prodotti agro-alimentari, soprattutto ai fini della razionalizzazione degli scambi internazionali, ma senza arrivare a una norma tecnica precisa.
Fu elaborata una proposta di linea guida che ammetteva l’aggettivo naturale nei prodotti forniti dalla natura ed eventualmente sottoposti a minimi trattamenti fisici come lavaggio, sfrondatura, mondatura, refrigerazione, eccetera. In effetti, il termine “naturale” sulle etichette è uno dei più controversi perché non si sa bene che cosa debba far intendere al consumatore e in quali casi possa essere usato, ma tutti vorrebbero usarlo e molti lo sfruttano. La legge italiana sull’etichettatura alimentare, che poi discende dalle Direttive comunitarie, ha stabilito che le informazioni e le menzioni in etichetta non possono “suggerire che il prodotto alimentare possiede caratteristiche particolari quando tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono caratteristiche identiche”.
Cosicché la Corte di cassazione ha ritenuto illegittima, per esempio, la denominazione “naturale” su un burro, perché la legge non ammette che sia fabbricato con sostanze estranee al latte e dello stesso tenore è una sentenza riguardante un “prosciutto naturale” fatto sostanzialmente come gli altri. Le castagne sono prodotti naturali ma, poiché lo sono tutte, nessuno può vantare in etichetta che le sue castagne sono naturali.
Emanuele Piccari