04/10/2011
I contratti di lavoro part time continuano a crescere in tutta Europa: solo in Italia negli ultimi tre anni l’Istat ha registrato un incremento dell’11% dell’orario ridotto, spesso non più scelto dai dipendenti, ma imposto dalle aziende. La ricerca Work Monitor Randstad ha analizzato l’andamento del lavoro nel terzo trimestre 2011 in 29 Paesi e ha registrato un aumento del ricorso delle aziende al part time: per i lavoratori europei, però, questo dato è considerato un freno allo sviluppo della carriera.
In Italia, Belgio, Lussemburgo, Danimarca e Svezia più del 50% del campione concorda con l’idea che il “tempo parziale” sia un freno alla carriera, mentre in Turchia, Giappone e Repubblica Ceca è solo un terzo, o meno, degli intervistati a pensarla così. Ne deriva che, almeno per l’Italia, dove l’incidenza dei contratti part-time a livello nazionale al 2010 era del 15%, esiste una penalizzazione soprattutto per i più giovani, con il 24% di contratti part-time fra i 15-24enni, e per le donne con il 29% di contratti part-time.
Non solo, quando è il dipendente a chiedere il part time per una maggiore conciliazione con la famiglia, i datori di lavoro non si dimostrano molto disponibili: questo conferma che la riduzione dell’orario è un’opzione scelta solo per far fronte alla scarsa produttività dell’impresa. Per molti lavoratori il part time non è compatibile con una posizione dirigenziale (lo pensa il 61% degli intervistati italiani, contro il 59% in Germania, 75% in Francia e Regno Unito e il 73% negli Stati Uniti). Ci sono però anche Paesi in controtendenza, come per esempio la Cina, dove il ricorso al tempo parziale rappresenta il 35% del totale e dove, al contrario, il 72% degli intervistati è convinto che il questa tipologia contrattuale possa conciliare con l’espletamento di un ruolo dirigenziale.
Eleonora Della Ratta