04/04/2011
E' a tratti quasi grottesca l'incapacità dell'Europa (soprattutto) e dell'Italia nell'affrontare una crisi migratoria che, dopo tutto, è causata da una guerra nel Mediterraneo, il mare italiano ed europeo per eccellenza. L'Unione Europea ha 500 milioni di abitanti, l'Italia da sola 60: eppure 20 mila profughi o immigrati sono finora bastati a gettare nel panico l'una e l'altra, a mettere i Paesi europei l'uno contro l'altro, a fare di un problema uno spauracchio continentale.
Una questione pratica risolvibile con un po' di buona volontà e di collaborazione ristagna nella disorganizzazione, tra pulsioni umanitarie difficilmente realizzabili e velleitarie pulsioni "legge e ordine". Più che la crisi della Libia, però, incide su tutto questo la paralisi culturale dell'Europa e dell'Italia che, in quel senso, ben la rappresenta. Da anni, ormai, come europei e come italiani, abbiamo rinunciato a capire l'immigrazione e a tramutarla in politica. E con questo, abbiamo rinunciato a capire noi stessi e l'andamento della nostra società.
Guerra o non guerra, le ondate migratorie non sono destinate a esaurirsi. lo ha spiegato bene, con poche e chiare parole, il cardinale Bagnasco nella sua ultima Prolusione al Consiglio permanente della Cei (CLICCA QUI per il testo completo): "È un’illusione pensare di vivere in pace, tenendo a distanza popoli giovani, stremati dalle privazioni, e in cerca di un soddisfacimento legittimo per la propria fame. Coinvolgerci, e sentirci in qualche modo parte, rientra nell’unica strategia plausibile dal punto di vista morale ma − riteniamo − anche sotto il profilo economico-politico. L’interdipendenza è condizione ormai fuori discussione ed essa si fa ancora più cruciale e ineluttabile in forza delle vicinanze geografiche".
Il crollo demografico in Italia
Da un lato, quindi, il desiderio di una vita migliore per decine di
milioni di persone a noi vicine. Ma dall'altro, la necessità di linfa
nuova per una società, la nostra, inaridita dal punto di vista
demografico ed economico.
Lo dimostra bene (ed è curioso che molti ministri dello stesso
Governo facciano finta di non saperlo) il Rapporto 2010 "L'immigrazione
per lavoro in Italia" (CLICCA
QUI per il testo completo) pochi giorni fa presentato dal
ministero del Lavoro retto da Maurizio Sacconi. Pur notevole per
dimensioni (280 pagine), il Rapporto è chiaro nell'analisi come nelle
conclusioni.
Negli ultimi decenni la popolazione italiana è invecchiata e i
giovani italiani, complice l’alto tasso di scolarizzazione, hanno preso
ad
affacciarsi sul mercato del lavoro sempre più tardi. Fino al 2000,
inoltre, i giovani (15-24 anni) che almeno in potenza si proponevano sul
mercato del lavoro erano in numero superiore a coloro (55-64 anni) che
ne stavano uscendo. Da quell’anno la situazione si è capnel
2004 il buco tra entranti e uscenti era già di 449 mila persone, nel
2008 ormai 1 milione. ovolta: Un buco che,
sommato alle esigenze dell’industria e dei servizi, ha inevitabilmente
attratto la manodopera straniera.
Ma non basta. Con buona pace di tutti coloro che vogliono fare
gli struzzi, la tendenza è destinata
ad accentuarsi. Da qui al 2020 (che è poi l’orizzonte del Rapporto),
la
popolazione italiana non più in età da lavoro (over 64 anni) sarà il
23,2% del totale, mentre i giovani saranno un misero 13%. La
popolazione in età da lavoro (15-64 anni) si ridurrà al 63,8% del
totale. Conclusione: ci serviranno più immigrati, se vorremo mantenere
in funzione il sistema economico e pensionistico.
Quanti? Il Rapporto del ministero del Lavoro fa queste cifre: 100
mila l’anno da qui al 2015 e 260 mila l’anno dal 2015 al 2020. Totale:
almeno 1 milione e 800 mila, immigrato più, immigrato meno.Succede
così che l'immigrazione ci dica molto non solo delle difficoltà altrui,
ma anche delle nostre cecità, di una società vecchia che, nel culto del
benessere, non ha fatto altro che erigere muri: contro la maternità e
contro i giovani, per esempio. E che il muro contro gli immigrati lo
alza soprattutto per non dover parlare di sé.
Fulvio Scaglione