12/10/2011
Un rumeno su due (il 49 per cento) tra quanti vivono e lavorano in Italia vorrebbe tornare in patria. E la percentuale sale al 71 per cento tra chi ha lasciato gli affetti in Romania. A ostacolare la prospettiva del rientro, però, c’è la convinzione (oltre l’85 per cento) che trovare lavoro nel proprio Paese sia ancora difficilissimo.
Sono i risultati di un’indagine realizzata dalle Acli nell’ambito del progetto Medit, un “modello di cooperazione transnazionale” volto a favorire il “rientro produttivo” dei lavoratori rumeni, per reinserirli nel mercato del lavoro valorizzando le esperienze e le competenze acquisite in Italia.
La ricerca. I rumeni sono il primo gruppo nazionale per numero di presenze in Italia (968.576 secondo l’ultimo dato Istat, il 21 per cento sul totale degli stranieri). L’indagine quantitativa realizzata dall’Istituto di ricerca delle Acli (Iref) ha coinvolto tramite questionario 1.200 lavoratori rumeni residenti in Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio e Puglia.
I settori. Per quasi due donne su tre (64 per cento) tra quelle intervistate, la prima esperienza di lavoro all’estero ha coinciso con un’occupazione nel settore del lavoro domestico e dell’assistenza familiare. Al contrario, per gli uomini è stato il settore dell’edilizia a rappresentare il primo sbocco professionale (42 per cento).
I contratti. La percentuale di individui occupati con un regolare contratto è di poco inferiore al 60 per cento. Dichiara di lavorare “in nero”, senza contratto, il 18 per cento del totale. Una quota che cala tra le persone che sono in Italia da più tempo (dal 32 per cento di chi è arrivato in Italia dopo il 2009 al 9 per cento di chi è arrivato pima del 2000). Significativa è anche la quota di persone attualmente disoccupate (con o senza cassa integrazione), pari al 19 per cento.
Il reddito medio mensile dichiarato dai lavoratori medi intervistati è di 1.000 euro, con forti differenze tra uomini e donne. I primi arrivano in media a 1.250 euro, le secondo si fermano a 850. Differenze significative anche in base ai settori: a fronte dei 750 euro al mese di chi lavora in agricoltura, si hanno i 1.400 euro di chi è impiegato nell’edilizia. Altra variabile significativa è la regione di residenza. Chi lavora al Sud è penalizzato rispetto a chi è occupato al Nord: tra Puglia e Friuli Venezia Giulia ci sono 500 euro di differenza.
Nel pdf in allegato è possibile leggere l'intera ricerca.
Alberto Pomodoro