22/11/2011
Il consiglio nazionale forense ha inflitto una sanzione
disciplinare con la sospensione dall'esercizio della professione per cinque
mesi a un avvocato che si sarebbe reso responsabile della violazione degli
articoli 16 e 37 del Codice deontologico forense per aver svolto attività di
mediazione e aver prestato assistenza professionale in situazione di conflitto
di interessi. L'avvocato decide di
ricorrere in Cassazione contro il provvedimento sanzionatorio eccependo di non
essere incorso in alcun conflitto d'interessi "da una parte la persona
(sua cliente) che poi lo ha denunciato e dall'altra una società che faceva capo
alla moglie e alla suocera". La tesi difensiva si basava su questo
assunto: il cliente dell'avvocato non avrebbe subito alcun danno dalla
situazione di conflitto potenziale.
La Corte di Cassazione, rifacendosi alla disposizione del
giudice disciplinare, risponde che "l'illecito si consuma con il
verificarsi della situazione che mette a rischio il rapporto fiduciario tra
avvocato e cliente". La possibilità
del rischio, dunque, è sufficiente a far scattare il provvedimento
sanzionatorio. L'articolo 37 del Codice di deontologia forense, infatti,
intende evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza
dell'operato dell'avvocato e, quindi, perché si concretizzi l'illecito, basta
che potenzialmente l'opera del professionista possa essere condizionata da
rapporti di interesse con la controparte. "Facendo riferimento alle
categorie del diritto penale, l'illecito contestato all'avvocato è un illecito
di pericolo e non di danno": dunque, l'asserita mancanza di danno è
irrilevante perché il danno effettivo non è elemento costitutivo dell'illecito
contestato.
Alberta Perolo