16/03/2011
L’immagine è classica: un avvocato che in aula, facendosi trasportare dall’emozione dell’arringa, non risparmia espressioni pungenti alla controparte. Bene, la Corte di Cassazione è intervenuta per preservare questo “diritto”: con sentenza 10188/2001, la quinta sezione penale ha stabilito che “non ogni espressione che crea disappunto è, per ciò solo, offensiva, né offensiva è automaticamente una espressione forte o pungente. In sintesi, la particolarità del contesto processuale fa sì che venga ammesso l’utilizzo di frasi ed espressioni che, in altra situazione, non sarebbero tollerabili. Nello specifico definire “ridicola” la tesi di un avversario, stando a quanto dice la Corte, “è certamente un modo di esprimersi sgradevole e, forse, deontologicamente riprovevole, ma, non per questo integrante gli estremi dei diritti ex artt. 594 o 595 cp”, cioè ingiuria e diffamazione.