18/01/2012
Una coppia divorzia ed è solo l'inizio dell'ormai consueto
tira e molla su assegnazione della casa coniugale e sull'ammontare dell'assegno
divorzile. Nel caso in esame, la Corte d'Appello di Palermo attribuisce
all'ex moglie una “casa coniugale”. Contro
tale sentenza l'ex marito propone ricorso in Cassazione sulla base di alcuni
motivi, in particolare: l’alloggio assegnato non era quello familiare. Questo
punto è interessante perché la stessa Cassazione riconosce come l'assegnazione
di un immobile in sede di separazione o divorzio debba effettuarsi solo con
riferimento alla casa coniugale, da intendersi come quella di fatto abitata
dalla famiglia in modo continuativo, e non di una che la famiglia non abbia mai
abitato o dove abbia soggiornato solo saltuariamente.
D'altro canto, nel caso di specie, la sentenza impugnata
chiarisce come la casa assegnata fosse per l'appunto quella coniugale, quando i coniugi convivevano, e ha continuato a
essere abitata, sostanzialmente, senza soluzione di continuità, da parte della
donna insieme con il figlio. In un certo periodo il bambino è stato ospite dei
nonni materni in altra località, ma tornava sempre a casa dei genitori per
trascorrere con loro i fine settimana.
Dal 2003 madre
e figlio, allora divenuto maggiorenne ma non autosufficiente economicamente,
abitano nuovamente a tempo pieno la casa in questione. A nulla vale nemmeno
la richiesta dell'ex marito che chiedeva gli fosse assegnata almeno una parte
della casa. "La suddivisione in due
unità abitative, trasformando l'immobile, sconvolgerebbe l'ambiente domestico
in cui il giovane figlio delle parti è vissuto, senza contare la conflittualità
esistente tra il ricorrente e la moglie nonché la pessima influenza della
vicinanza del padre, desumibile dal provvedimento di decadenza dalla potestà,
tale da costituire una sicura e continua minaccia alla serenità e salubrità
dell'ambiente di vita del figlio". Il tutto ovviamente nell'interesse del
figlio.
Alberta Perolo