07/12/2011
Il pianto del ministro Fornero.
Non tutto è ancora chiarissimo, ma certamente la previdenza italiana ha subito con la Manovra Monti una profonda rivoluzione. Alcuni passaggi sono semplici da capire e, tutto sommato, meno dolorosi di quanto si pensasse. Su altri il giudizio è sospeso: bisogna interpretare bene le nuove norme per sapere come si applicheranno.
Un esempio: che significa flessibilità dell’uscita con penalizzazione per chi se ne va prima e incentivi per chi continua a lavorare? Da quando si può andare in pensione prendendo tutto il dovuto? Da come è stato descritto il provvedimento, parrebbe che le donne potranno andare in pensione dopo i 62 anni e gli uomini dai 66 (nel 2018 tutti a 66). Però, chi matura i 41 anni d’anzianità (donne) e i 42 (uomini) prima dei 62 (donne) e dei 66 (uomini) vedrebbe decurtato l’assegno del 2% per ogni anno di anticipo.
Fin qui sembra abbastanza evidente il meccanismo, anche se con qualche lato oscuro. Meno evidente è la parte che riguarda gli incentivi: in che cosa consisteranno? Varranno fino al compimento dei 70 anni d’età, soglia massima prevista dalla “fascia di flessibilità”? Si potrà sforare? Per avere un quadro senza ombre bisognerà attendere ancora qualche giorno, il voto del Parlamento e le circolari dell’Inps, che nel frattempo assorbe anche Inpdap (dipendenti pubblici) ed Enpals (settore dello spettacolo e della televisione).
Ora, facciamo qualche esempio di che cosa succederà secondo quanto descritto ieri dal ministro Elsa Fornero.
Il calcolo della pensione
Chi ha cominciato a lavorare prima del 1978, in base alla riforma Dini avrebbe maturato la pensione secondo il sistema retributivo, in pratica i migliori cinque anni degli ultimi dieci. Da gennaio quel conteggio varrà solo per tutto il periodo lavorativo fino al 31 dicembre 2011, il resto sarà calcolato anche per lui con il sistema contributivo (la pensione matura solo sulla base dei contributi realmente versati). Esempio: un dipendente assunto per la prima volta nel 1977, a 21 anni, se andasse in pensione a 66 anni nel 2022, riceverebbe una pensione “retributiva” per i primi 34 anni di lavoro, “contributiva” per il periodo 2012-2022.
In parte il calcolo ''retributivo'' si applicava anche ai lavoratori in possesso al 31 dicembre 1995 di un'anzianità contributiva inferiore ai 18 anni (sistema retributivo per i contributi fino al 31 dicembre 1995 e contributivo per quelli successivi). Che fine faranno questi lavoratori non è stato chiarito, ma se vale la clausola dei diritti acquisiti, per loro non cambierà nulla. A tutti gli altri, dall’1 gennaio 1996 si applica già il contributivo. Secondo le prime proiezioni, a regime l’assegno sarà di circa il 7% inferiore a quello che avrebbe percepito senza la riforma Monti.
L’età pensionabile
Dal 2012 per la pensione di vecchiaia le donne dovranno aver compiuto 62 anni con 20 di contributi minimi, gli uomini 66. Entro il 2018 anche le donne andranno in pensione a 66 anni. Nel 2026 tutti a 67, come sarà in tutta Europa.
La pensione di anzianità
È il provvedimento più discusso, quello a rischio battaglia parlamentare e sindacale. La nuova regola prevede 41 anni e un mese per le donne, 42 e un mese per gli uomini senza limiti di età. Fin qui si tratterrebbe di un allunaggio morbido, perché contemporaneamente sono state abolite le “finestre”, cioè quel meccanismo che prevedeva l’anzianità a 40 anni, ma il pagamento della pensione dopo un anno. La novità vera, a questo punto, sono le penalizzazioni per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 anni d’eta (donne) e 66 (uomini).
Adeguamento inflazione
È il provvedimento che ha fatto piangere il ministro Fornero: per due anni verranno rivalutate all’indice Istat del costo della vita solo le pensioni fino a 936 euro. Per gli altri nemmeno un centesimo in più. Ma ora sembra che il provvedimento possa essere almeno in parte ammorbidito.
Elena Zuccaro