04/01/2012
La scrittrice Antonia Arslan
Un paese incastrato tra Turchia, Georgia, Azerbaigian e Iran. Un
fazzoletto di terra, se confrontato a quelli che erano i suoi confini di
un tempo. Eppure che l’Armenia esista di nuovo - ufficialmente dal
1991, in conseguenza del crollo del Muro e la fine dell’Urss - pare
quasi un miracolo, dopo il genocidio che ne ha sterminato la popolazione
ai primi del Novecento, determinando la diaspora di persone senza più
radici e con il sogno di una patria negata. Storie che Piero Marrazzo –
al suo secondo reportage, dopo quello dedicato al dramma della Somalia -
racconta in “I figli dell’Ararat – L’avamposto”, in
onda stasera alle ore 23.30 su Rai3: un riferimento alla
montagna simbolo dell’Armenia, quella in cui su cui si posò l’arca di
Noè dopo il Diluvio e che si staglia sullo sfondo della capitale,
Erevan, ma in territorio turco.
Il
documentario ripercorre le vicende del popolo armeno: donne, uomini,
famiglie che hanno attraversato la storia del ventesimo secolo,
ricominciando altrove la propria esistenza. O confinandola in una
prigione, come nel caso di Karikin Crikorian che – in carcere in Italia
per terrorismo – ripercorre la propria vita: la follia della lotta
armata, i lunghi anni di carcere, la consapevolezza di aver perso la
gioventù. E senza mai aver visto la patria per cui ha tanto lottato.
Ma ci sono anche personaggi di origine armena, diventati famosi, che
vivono e lavorano in giro per il mondo: dal cantante Charles Aznavour,
intervistato nella sua residenza nel sud della Francia, alla scrittrice
Antonia Arslan, docente universitaria, autrice del libro “La masseria
delle allodole” e collaboratrice di Famiglia Cristiana, che Marrazzo incontra nel
Monastero di San Lazzaro degli Armeni a Venezia. E ancora, Vartan
Gregorian, presidente di una delle maggiori istituzioni culturali
statunitensi, la Carnegie Foundation di New York; e il documentarista
Satenig Gugiughian, che vive a Roma e il cui padre è stato uno delle
vittime della diaspora.
Eugenio Arcidiacono