08/02/2012
Nonostante la crisi economica, e i 90 dollari
di biglietto d’ingresso, l’edizione 2012
del Wine Expo di Boston è stata un successo,
con circa 10 mila visitatori all’assalto degli oltre
250 espositori presenti. Essendo quella
bostoniana la prima grande fiera enologica
dell’anno, il 2012 conferma che il vino, soprattutto straniero,
in America non conosce crisi.
Il Wine Expo che si è svolton a Boston, Stati Uniti.
Le cifre più recenti dell’Istituto del commercio
con l’estero (Ice) relative ai primi nove
mesi del 2011 registrano una crescita
nelle importazioni Usa che nemmeno gli anni
più neri dell’economia sono riusciti ad arrestare.
Fino a settembre dell’anno scorso,
gli americani hanno comprato vino straniero
per circa 3,5 miliardi di dollari, dei quali
1,1 (quasi un terzo) dall’Italia. L’anno prima
nello stesso periodo l’import totale era stato
di circa 3 miliardi, e nel 2009 di 2,8.
Mentre l’economia generale registrava
una delle frenate più brusche dal dopoguerra,
l’importazione di vino continuava a crescere
di almeno il 12% l’anno. E, con essa, la
quota dell’Italia, stabile intorno al 30% del
totale, con i francesi ormai relegati al secondo
posto (25%) anche in fatturato, dopo esserlo
stati tradizionalmente solo in quantità.
Molto staccati gli altri Stati. In
calo l’Australia, scesa, dopo il boom dei primi
anni 2000, al 12% del mercato; crescono Argentina e Cile con il 6% a testa e
la Spagna che, raddoppiando le vendite nel
giro di un anno, ha quasi raggiunto i due Paesi
sudamericani.
Nel 2011 le vendite di Prosecco negli Stati Uniti sono salite del 40 per cento (foto: Franco Sacchi).
«Prosecco is on fire!», ovvero va come
un treno, afferma Lila Khan, rappresentante
di Mionetto Usa, marchio leader
del vino frizzante italiano negli
Usa. E il treno delle “bollicine” italiane,
da queste parti, sembra inarrestabile.
Nell’ultimo anno le vendite di Prosecco
sono salite del 40%. «Dieci anni fa
eravamo sconosciuti. Oggi non ci confondono
nemmeno più con gli spumanti
», aggiunge la Khan. «Paradossalmente,
con un prezzo medio di soli 12 dollari
a bottiglia, la crisi ci ha aiutati».
Ma, in tempi di recessione, nemmeno
i più famosi possono permettersi di
abbassare la guardia. «Il marchio bisogna
saperselo giocare», avverte Rolando
Bernacchini, titolare della ditta Alimenta
che rappresenta alcuni tra i più
noti produttori senesi di Chianti Classico.
«Con più di 350 imbottigliatori di vino
con lo stesso nome, il rischio di inflazione,
o peggio di confusione, è sempre
in agguato».
«I risultati arrivano nel tempo, con
calma», riflette Francesco Cazzolla, direttore
commerciale del gruppo De Padova,
azienda pugliese che raccoglie
olive e uve di 2 mila piccoli produttori
trasformandole, rispettivamente, in
olio extravergine e nei sempre più popolari
vini Primitivo e Negramaro.
«Nella zona di San Francisco il nostro
olio sta generando 400 mila euro di
fatturato annuo. Con il vino stiamo tentando
di fare lo stesso. La cosa più difficile
è trovare chi sa vendere, e soprattutto
spiegare la differenza tra
prodotto originale e contraffatto».
Stefano Salimbeni