19/06/2013
Foto da www.altraq.it
Anche acquistare una maglietta può rappresentare un gesto etico o, invece, un’azione inconsapevole di sfruttamento. E’ difficile non lasciarsi tentare dalle grandi multinazionali della moda cheap, la moda a bassissimo costo che consente a tutti di comprare a prezzi incredibili, così bassi che a ogni stagione si può eliminare quasi tutto e poi lanciarsi a ricomprare.
«Siamo nell’epoca della moda fast, ma non ci chiediamo quasi mai com’è possibile che quella maglietta di cotone possa costare solo 5 euro», spiega David Cambioli, presidente della cooperativa altra Qualità (www.altraq.it), una realtà davvero particolare nel campo del commercio equo. Altra Qualità si è impegnata ad uscire dalla nicchia dei prodotti più “classici” del commercio equo e, sempre collaborando con i produttori dell’Asia, dell’America Latina, dell’Africa e alcune coop sociali italiane, ha occupato settori nuovi, ad esempio con una linea di integratori alimentari e una di prodotti per la promozione d’azienda.
E poi, c’è Trame di Storie. «Volevamo fortemente entrare nel campo dell’abbigliamento “contaminando” il mercato con prodotti etici - prosegue Cambioli. In Italia la moda ha un alto valore economico e simbolico, abbiamo sempre ritenuto importante che il fairtrade cominciasse a occuparsene».
Ma cosa c’è, appunto, dietro l’acquisto di una maglietta da 5 euro?
«C’è prima di tutto un grandissimo impatto ambientale: la coltivazione del cotone richiede l’uso massiccio di insetticidi e di moltissima acqua - spiega. Poi c’è la fase della lavorazione del cotone: le tinture comportano un forte inquinamento. Infine, la fase dei trasporti da una parte all’altra dei continenti. E da ultimo, ma non trascurabile, c’è l’inquinamento da rifiuti: ogni anno buttiamo tonnellate di capi che devono essere in qualche modo smaltiti».
La progressiva delocalizzazione delle produzioni, in questi anni, verso paesi in via di sviluppo ha consentito alle multinazionali della moda di azzerare il costo del lavoro. Il fattore umano, in questa industria, pesa molto poco: «La manodopera è altamente sottopagata - spiega Cambioli - lavora senza regole e senza diritti, in una condizione di sfruttamento e miseria. Sono queste le ragioni del basso prezzo dei capi d’abbigliamento che arrivano fino a noi».
Foto da www.altraq.it
«Ma proprio qui - sottolinea Cambioli - presto o tardi arrivano anche gli effetti globali di queste scelte: devastante inquinamento planetario, emigrazioni di massa. Per questo, anche nel settore della moda, c’è chi tenta una coraggiosa quanto innovativa virata: Trame di Storie racconta di una filiera controllata a partire dalle materie prime, quando ciò è possibile, passando attraverso i produttori e gli artigiani locali che hanno messo mano a ogni capo». «All’inizio avevamo il problema di conquistare un mercato molto esigente come quello italiano - racconta David. Poi è avvenuta una straordinaria mediazione culturale: dall’Italia abbiamo trasmesso i modelli e gli stili preferiti dal nostro gusto, all’estero i produttori hanno aggiunto il loro contributo di design e di foggia, con un risultato eccellente. Siamo orgogliosi di non aver fatto una mera “delocalizzazione della produzione”, anche se etica, ma abbiamo realizzato una collaborazione».
Poi, per Trame di Storie si è posto il problema del canale distributivo.
«Inizialmente i nostri capi erano distribuiti esclusivamente nelle Botteghe del Commercio Equo, ma non sempre i punti vendita sono attrezzati per l’abbigliamento. Così abbiamo deciso di innovare, ancora una volta, ed entrare nel mercato dell’online: attraverso la vendita dal sito internet www.tramedistorie.it che di fatto è il primo store etico monomarca. Non soltanto intercettiamo nuovi clienti, ma facciamo sensibilizzazione, informiamo, sviluppiamo una coscienza sociale tra persone che forse non sarebbero mai entrate in una Bottega del Commercio Equo».
Tra il grande circuito certificato del Fairtrade e i piccoli produttori locali, Trame di Storie offre un lavoro a condizioni giuste (ogni anno vengono visitati i progetti) a oltre tremila lavoratori nel mondo. Vengono realizzate e distribuite due collezioni l’anno provenienti dall’India, Bangladesh, Nepal, Vietnam, mentre gli accessori provengono soprattutto dalla Colombia. «Il nostro auspicio - conclude Cambioli - è di riuscire a diffondere non solo moda etica, ma un approccio etico alla moda».
Benedetta Verrini