26/01/2011
Humphrey Bogart in un'immagine tratta dalla mostra di Borsalino "Il cappello nel cinema".
Cappotti ben disegnati e ampi trench, completi grigi dalla giacca spesso doppiopetto e con i pantaloni smilzi e piuttosto corti. E per il tempo libero, caban blu stile yachting, giacconi all’inglese effetto caccia e tre quarti in lane preziose. Ma anche giubbini di pelle nera da duro o caldissimi in montone rovesciato.
In tempo di crisi, l’uomo dimentica i capricci della moda e sceglie con cura capi di un guardaroba dall’eleganza senza tempo. Questo è il messaggio giunto in questi giorni da Pitti Immagine di Firenze e da Milano Moda, dove sono state presentate le collezioni maschili dell’autunno-inverno 2011-2012.
I grandi ispiratori sembrano essere i grandi miti del cinema. Dallo stile motociclista alla Marlon Brando de Il selvaggio o allo Steve Mc Queen de La grande fuga, per arrivare fino alla fine degli anni Sessanta, con il Peter Fonda di Easy Rider.
Ma gli stilisti sembrano pensare soprattutto all’eleganza classica di Clark Gable, Cary Grant, Humphrey Bogart, nel disegnare lo stile di uomini che non escono mai senza giacca e cravatta e neppure senza il cappello, da togliere con gesto galante e hollywoodiano davanti a una signora o quando si entra al bar.
Gesto ritrovato anche nella mostra allestita da Borsalino alla Triennale di Milano Il cappello nel cinema, carrellata multimediale di film e di star, che vede protagonista questo accessorio. Tra i dettagli ritrovati, anche le bretelle, portate con ostentazione in stile Spaghetti Western, oppure non esibite, come elegante sostituto della più banale cintura. Anche lui, poi, riscopre, i guanti, da galantuomo stile Ottocento o come i lavoratori operai dei primi del Novecento. Infine la borsa, da accessorio quasi esclusivamente riservato a lei, diventa pezzo insostituibile per riporre notebook, I-phone, I-pad e quotidiani. Fine del troppo piccolo borsello, dunque, e largo alle più ampie tracolle da postino, ribattezzate dagli esperti modaioli con il nome inglese messenger.
di Giusi Galimberti