13/02/2012
La partenza del razzo Vega dalla base della Guyana Francese, alle 7 in punto di lunedì 13 febbraio 2012 (foto Esa).
Lo spazio parla italiano. È stato un pieno successo il primo volo di collaudo del razzo Vega, concepito e costruito nel nostro Paese. Il lancio è avvento alle 7 in punto, le 11 in Italia, dalla rampa numero uno della base europea di Kourou, nella Guyana Francese. Il vettore ha messo in orbita il satellite Lares dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) per lo studio di alcuni effetti della teoria della relatività, l’AlmaSat-1 realizzato dall’ateneo di Bologna e sette “nano satelliti” allestiti da altrettante università europee.
Vega è la stella più luminosa della costellazione della Lira, la seconda
più brillante dell'emisfero boreale, ed è anche la sigla di "Vettore
Europeo di Generazione Avanzata". Europeo perché il programma è stato
adottato dall’Esa (European Space Agency) e vede il contributo di sette
dei suoi stati membri, ma di fatto il lanciatore è nato in Italia. Qui,
infatti, è stato ideato e progettato, mentre quasi il 60 per cento della
costruzione è affidata alle nostre industrie.
Alto 30 metri e pesante 137 tonnellate, Vega può portare in orbita uno o
più satelliti per una massa complessiva compresa fra 300 chili e 2,5
tonnellate. L'ideale per le missioni scientifiche e quelle per lo studio
delle risorse o il monitoraggio ambientale, che impiegano piccole
navicelle, leggere. Per le quali è antieconomico impiegare razzi grandi e
costosi. Per esempio il vettore europeo Ariane 5, un colosso concepito
per carichi dieci volte più grandi e pesanti. Sarebbe come utilizzare un
autotreno per trasportare dei pacchetti quando basta un furgone.
E il Vega, appunto, è una sorta di furgone spaziale. Un veicolo
versatile, economico e soprattutto hi-tech. Molte sono le soluzioni
rivoluzionarie. Prima fra tutte, la costruzione in fibra di carbonio -
leggera e ultraresistente - anziché in metallo. Un'innovazione che
potrebbe cambiare il modo in cui sono progettati e fabbricati i razzi
vettori.
Dicevamo del ruolo dell'Italia. L'Esa ha affidato alla società Elv,
controllata da Avio (l’ex Fiat Aviazione), e all’Asi la guida e la
responsabilità del programma. Una scelta non casuale, dal momento che
per loro iniziativa il progetto Vega è nato e si è concretizzato
nonostante mille difficoltà.
Tutto iniziò alla fine degli anni Ottanta con un’intuizione dello
scomparso Luigi Broglio, il papà del programma San Marco, che nel 1964
portò l’Italia ad essere il terzo Paese, dopo Urss e Usa, a mettere in
orbita un satellite artificiale. Il vecchio professore aveva compreso
l’utilità di un lanciatore piccolo e poco costoso da mettere a
disposizione della comunità scientifica internazionale. La sua idea di
realizzarlo mettendo insieme pezzi dei vecchi razzi americani Scout,
tuttavia, era di difficile attuazione. Nel frattempo, però, la Bpd di
Colleferro (Roma), azienda entrata poi a far parte di Avio, stava
maturando una notevole esperienza nel campo dei motori a razzo a
propellente solido con la progettazione e la costruzione dei booster per
i vettori Ariane.
L’Italia, insomma, aveva la capacità tecnologica e industriale, ma nel
difficile mercato dei lanci spaziali un razzo made in Italy avrebbe
avuto poche chance di successo. La mossa vincente è stata quella di
puntare sull’Europa, sulla collaborazione e su un'organizzazione rodata
da oltre 200 missioni di vettori Ariane. Si sono dovute vincere le
resistenze di qualche partner, ma poi - per la prima volta - il nostro Paese ha assunto la guida in un programma spaziale internazionale. E ora il razzo ha spiccato davvero il volo. Se avessimo voluto fare da
soli, il progetto sarebbe rimasto sulla carta. Una lezione, questa, da
tenere a mente per il futuro.
Vega e i suoi satelliti
Nel suo primo lancio, il razzo Vega aveva a bordo nove piccoli
satelliti. Fra questi, Lares: una sfera di tungsteno, grande come un
pallone da basket, ma pesantissima (400 chili), con la superficie
ricoperta da 92 specchietti. Serviranno a riflettere gli impulsi laser
inviati da Terra per misurarne i movimenti con precisione estrema.
In orbita a 1.450 chilometri d'altezza, Lares permetterà di studiare alcuni effetti previsti dalla teoria della relatività di Einstein. In
particolare, la deformazione dello spazio-tempo provocato dalla massa
della Terra.
Giancarlo Riolfo