Vitamina C, tutto nasce dalla paprica

Il motore di ricerca Google ha appena festeggiato Albert Szent-Gyorgyi, lo scienziato ungherese che scoprì la fonte dell'acido ascorbico. Nei peperoni, non nelle arance.

30/09/2011

Fin da piccoli ci viene ricordato dai genitori di mangiare arance e limoni perché contengono vitamina C, importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario e per la sintesi di collagene nell'organismo, che altrimenti non potrebbe avvenire. Questo perché è ancora vivo il ricordo delle vittime dello scorbuto, una malattia che imperversava quando non si conosceva l'importanza dell'acido ascorbico (o vitamina C) e non si sapeva come assumerlo. Oggi lo sappiamo tutti: agrumi certo, ma anche vegetali a foglia verde, peperoni, pomodori e kiwi. Google ha celebrato qualche giorno fa il 118° anniversario della nascita dello scienziato Albert Szent-Gyorgyi che, da buon ungherese, scoprì nella paprica (la spezia che si ottiene dal peperone) la fonte dell'acido ascorbico. Non nelle arance, dunque, come sembra suggerire il logo odierno del motore di ricerca e come comunemente si crede. I peperoni, infatti, erano coltivati su larga scala intorno a Szeged, dove insegnava lo scienziato.


Per le sue ricerche (tra cui la scoperta della vitamina B2) Szent-Gyorgyi ricevette il premio Nobel per la medicina nel 1937. Figlio di una famiglia benestante, cominciò i suoi studi a Budapest e dovette interromperli per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando fu inviato come medico sul fronte tra Italia e Russia. Lavorò per un certo periodo in un laboratorio batteriologico ungherese che abbandonò dopo essersi opposto agli esperimenti sui prigionieri di guerra italiani. Dopo un periodo di ricerche all'estero, diventò professore di chimica medica nell'Università di Szeged negli anni Trenta del secolo scorso.


Studiò il meccanismo con cui le cellule viventi "bruciano", con ossigeno, le molecole organiche liberando energia e anidride carbonica, in sostanza l'inverso della fotosintesi. Szent-Gyorgyi arrivò così a spiegare i fenomeni detti di ossidoriduzione. Fu attivo nella resistenza antinazista e aiutò numerosi ebrei a fuggire dal paese. Lasciò l'Ungheria per la Svezia quando Hitler firmò l'ordine di arresto, rientrò dopo la guerra per poi abbandonare il Paese nuovamente nel 1948, quando si trasferì negli Stati Uniti per dirigere le ricerche per la cura del cancro. Non venne mai meno il suo impegno come difensore dei diritti civili e fu, infatti, in prima linea anche nella protesta contro la guerra in Vietnam.


Limoni, occhio all'etichetta

Al di là dei limoni e degli agrumi come fonte naturale di Vitamina C per il nostro organismo, quando ci dedichiamo alla preparazione di marmellate e liquori, dobbiamo sempre fare attenzione alle etichette se impieghiamo frutta non di nostra produzione. È il caso dei limoni per il limoncello che devono essere biologici, non trattati in alcun modo con pesticidi che, altrimenti, passerebbero dalla buccia al liquore. Un allarme viene dalla segnalazione di un nostro lettore che ha acquistato dei limoni sudafricani i quali, secondo un'etichetta molto evidente, sono stati coltivati "a lotta integrata", ovvero utilizzando pochi pesticidi e mezzi di lotta biologica. A leggere meglio, però, un'etichetta più piccola avvisa che sono stati applicati due agenti di rivestimento (cere E901 E904), e poi due pesticidi, l'imazalil e l'ortofenilfenolo, e quindi, attenzione, è scritto a caratteri microscopici: “buccia non destinata all'alimentazione”.


Cos'è successo? “Per la conservazione, visto che si tratta di un prodotto di importazione che ha viaggiato per parecchio tempo, sono state aggiunte le cere per dare lucidità e poi i pesticidi per proteggerli dalle muffe. Poche persone però leggono le etichette scritte così in piccolo e non è evidente a tutti la pericolosità delle sostanze aggiunte” commenta Agostino Macrì, consulente dell'Unione nazionale consumatori. “Io con quei limoni non farei certo il limoncello!”.  Il limoncello, infatti, si fa impiegando solo lo strato più esterno della buccia, di colore giallo. Messo in infusione in soluzione alcolica, rilascia gli oli essenziali che conferiscono l'aroma, il profumo e il sapore caratteristico al rinomato liquore. Purtroppo proprio sulla buccia finiscono i prodotti chimici, soprattutto nei limoni importati.  Il mercato è sempre più invaso da limoni argentini, spagnoli e africani, che hanno una forma più regolare ma che, soprattutto, permettono margini di guadagno superiori ai rivenditori Primo esportatore al mondo di limoni, l'Argentina, si aspetta di aumentare del 25% la produzione nel 2011, anche se gli Stati Uniti hanno messo dei paletti più rigidi sui fitofarmaci ammessi.


Preferire i limoni italiani significa non solo disporre di un prodotto più sano e che ha viaggiato di meno per il mondo (producendo così meno inquinamento), ma anche aiutare le piccole aziende locali, soprattutto siciliane e campane, che raramente superano l’ettaro di superficie, in cui i terreni accidentati non permettono facili ammodernamenti colturali. Se un tempo quasi tutti riuscivano a far studiare i figli e a vivere grazie al ricavato della raccolta dei limoni, oggi ciò non è più possibile e inizia a porsi anche un grave problema ambientale: i muretti di pietra a secco che contengono il terreno delle terrazze, privi di manutenzione, crollano e, a ogni pioggia, aumentano le frane. Molti agrumeti abbandonati vengono trasformati in parcheggi per chi va al mare d'estate. Se entro i prossimi anni non si invertirà la tendenza all’abbandono, esistono seri rischi di dissesto idrogeologico e di desertificazione nelle regioni del Meridione.

Gabriele Salari
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