30/01/2012
Un vaccino contro l’Alzheimer. Sembra fantascienza, ma
potrebbe essere una soluzione molto vicina. L’Istituto di genetica e biofisica
e l’Istituto di biochimica delle proteine del Consiglio nazionale delle
ricerche hanno realizzato un vaccino di nuova generazione, chiamato (1-11)E, capace di innescare una risposta
immunitaria contro il beta–amiloide, un peptide che si accumula nel
cervello dei malati di Alzheimer, causando danni alla memoria e alle capacità
cognitive.
Secondo questo studio, pubblicato
sulla rivista Immunology
and Cell Biology, la molecola è una proteina nata dalla
fusione di due diverse molecole capaci di contrastare le conseguenze
dell’Alzheimer: al momento la sperimentazione è nella fase pre-clinica, che
prevede la somministrazione del vaccino a topi normali. Il passo successivo
consiste nel testare l’efficacia terapeutica e i possibili effetti collaterali
in topi transgenici che sviluppano una patologia simile all’Alzheimer.
«Attualmente si ricorre ampiamente ai vaccini per prevenire
le malattie infettive, ma anche una patologia come l’Alzheimer potrebbe essere
prevenuta o curata mettendo in atto un processo simile - spiega Piergiuseppe De Berardinis dell’Ibp-Cnr -. Il vaccino induce
la produzione di anticorpi, questi ultimi si legano al peptide che causa la
malattia, favorendone così l’eliminazione. Ora stiamo lavorando sui ‘carrier’,
molecole o micro-organismi utili a convogliare la risposta immunitaria sui
bersagli desiderati».
L’entusiasmo viene però frenato dalla necessità di avere risposte certe
sugli effetti di questo vaccino sull’uomo: «Sono ormai 10 anni che ricercatori di tutto il mondo stanno esplorando
la possibilità di prevenire l’Alzheimer con un vaccino: le prime
sperimentazioni sull’uomo hanno acceso molte speranze, ma anche evidenziato
possibili effetti collaterali gravi, che ne impediscono l’utilizzo - sottolinea
Antonella Prisco, dell’Igb-Cnr, coordinatrice della ricerca -. Usando il
bagaglio di esperienze accumulato, abbiamo messo a punto la molecola (1-11)E2,
cercando di minimizzarne i rischi per l’organismo e di ottimizzarne l’efficacia
terapeutica».
Eleonora Della Ratta